Pizza. Condurro, Coccia e Salvo: tre grandi stili a confronto

Pizza. Condurro, Coccia e Salvo: tre grandi stili a confronto
di Tommaso Esposito
Lunedì 25 Gennaio 2016, 13:35
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Ecco, ci sono momenti in cui anche nella storia della gastronomia bisogna fare un po' i conti e mettere uno in fila all'altro i vari elementi che compongono il quadro. Oggi senza dubbio alcuno è la Pizza Napoletana che domina la scena e sta determinando scelte che incidono sulla cultura del cibo, sul suo grande indotto economico non solo a livello locale, ma anche su vasta scala mondiale. Basti pensare a quello che sta accadendo negli Stati Uniti con il rincorrersi tra pizza New York style e pizza verace o a Londra, Tokio e Sidney dove si accendono ogni giorno forni con il fuoco del Vesuvio. Tutto è cominciato qui a Napoli dove questa invenzione gastronomica è coincisa con la più semplice delle scoperte: condire un disco di pasta di pane prima di metterlo in forno. Anzi, per far riferimento ai sacri ricettari antichi, e stiamo parlando del 1500, la scoperta è stata quella di riaprire la pizza, cioè una torta farcita, immaginate la pizza chiena pasquale o quella di scarole natalizia, e metterla così in forno, allampiarla. Certo il pomodoro è venuto dopo, quando già la majorana, cioè l'origano, profumava la 'nzogna sulla focaccia 'e Mastu Cola che oggi si può assaggiare ancora nella sua essenzialità da Guglielmo Vuolo. E molto tempo dopo, duecento anni, quel tale Raffaele Esposito, e crediamoci a questa leggenda, ha offerto alla Regina d'Italia la pizza con mozzarella, pomodoro e basilico. Lui ereditava il sapiente lavoro di Pietro Colicchio, pizzaiuolo al Vico di Sant'Anna di Palazzo apprezzato e conosciuto da Ferdinando II di Borbone e dalla sua corte. Costui fu, forse, l'antesignano ispiratore del moderno concetto di pizzeria. Non faceva solo asporto mandando in giro i garzoni con la stufa a vendere gli spicchi, ma aveva costruito una bottega dove ci si poteva sedere e mangiare così come oggi si fa e come Emmanuele Rocco descrive nel suo famoso articolo compilato per il De Bourcard nel 1857. Quando cioè la parola pizza non ancora esisteva nel «Vocabolario della Crusca, perché si fa col fiore e perché è una specialità dei napoletani».

E oggi che cosa sta accadendo proprio in questa capitale mondiale della pizza? Sono tuttora rintracciabili i tratti salienti di una tradizione plurisecolare? E chi sono gli epigoni, chi rappresenta la nouvelle vague e traccia il nuovo corso? Proviamo a delineare una sorta di tassonomia. Dunque senza dubbio la famiglia Condurro nelle sue diverse diramazioni e presenze in città, soprattutto Da Michele in Via Sersale, detiene il primato della pizza napoletana antica, quella lievitata oltre un giorno con il criscito prima nella madia, con cornicione basso e disco extra large. La pizza napoletana nuova, caratterizzata soprattutto dalla farcitura con materie materie prime eccellenti dal pomodoro all'olio extra vergine di oliva ha avuto come caposcuola Enzo Coccia. Ciro Salvo ha aperto la strada, per poi assestarsi un tantino al di qua, alla pizza napoletana nuovissima a cui guardano oggi soprattutto i giovani pizzaioli poco più che ventenni, due a caso Carlo Sammarco e Enzo Bastelli. Si tratta di idratazione dell'impasto spinta fino al 70%, cornicione pronunciatissimo, a canotto, con grandi alveolature, disco sottile di dimensioni che non arrivano al bordo del piatto, grande fantasia nelle farciture. Gianfranco Iervolino, ritornato ora all'utilizzo della farina fiore, è stato invece il primo grande interprete della pizza diversamente napoletana, quella per intenderci che, nonostante nasca dalle farine semi-integrali o da grani diversi dal frumento, conserva la morbidezza e la scioglievolezza dell'impasto trasformandolo in un goloso boccone unico. Quale sarà allora la pizza napoletana del futuro? Sarà esattamente questa che oggi si ritrova in città di Napoli nelle sue diverse sfaccettature tassonomiche e si replica magnificamente oltre. Altrove.






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