Tregua Fi-Lega: chi arriva primo in pole nei collegi

Tregua Fi-Lega: chi arriva primo in pole nei collegi
Sabato 4 Novembre 2017, 09:22
4 Minuti di Lettura
PALERMO. Accordo nazionale dell'acqua pazza o patto dell'arancino? Sarebbe meglio definirla tregua della carne di cavallo, visto che questa è la pietanza forte offerta ai commensali alla Trattoria del Cavaliere, l'altra sera a Catania. Città dove si usa un'espressione dialettale - «A puttamu a canni i cavaddu», la buttiamo a carne di cavallo - che in italiano è traducibile in «la buttiamo a tarallucci e vino». E le sostanze vere restano fuori dal tavolo. Così è andata tra Berlusconi, Salvini e Meloni. Come dicono questi ultimi due, e invece Silvio: «Clima di grande ottimismo e di grande unità». Ma davvero? «Su Montella allenatore del Milan, argomento vero di cui abbiamo parlato con Berlusconi», dice Salvini, «siamo d'accordo: non funziona». Per il resto? Salvini lasciando la Sicilia osserva: «Lui dà per fatto un accordo, perché è una persona ottimista. Ma non è così. C'è una intesa di principio sullo stare insieme, ma dobbiamo prima vedere i numeri del voto siciliano e poi come stare insieme». Questo il punto.

Il Cavaliere ha le idee chiare. Ovvero: «Musumeci vincerà grazie al traino di Forza Italia». E può pure essere. Ma l'importante, per Berlusconi, è che la Lega di Salvini si riveli inconsistente e inutile per la vittoria - la piazza salviniana a Catania l'altra sera era assai poco popolata - e se il Carroccio non dovesse arrivare alla soglia del 5% per il leader forzista sarebbe il massimo. «Andremo a sederci al tavolo delle candidature nei collegi uninominali del Nord e del resto d'Italia - spiega uno dei collaboratori di Silvio - in una posizione di forza di fronte a Salvini che fa tanto rumore e poi magari non raccoglie niente nelle urne». La speranza berlusconiana è che Diventerà Bellissima, la lista di Musumeci, prenda tutto il voto destrorso lasciando poca roba a Salvini. E la Meloni? «Alla cena - racconta - non abbiamo raggiunto nessuna intesa. Ma è stata un punto di partenza. Non si è parlato di ministri o di altre cose così. Ma solo di come realizzare un programma comune».

 

Tutto si vedrà, a livello nazionale, dopo le urne siciliane. Dalle quali Berlusconi si augura che Musumeci prenda quel che basta a sgonfiare Salvini e a far vincere se stesso e la coalizione, ma senza allargarsi troppo, e che anche Giorgia e Matteo non superino brillantante la prova di forza che, più lui di lei, hanno ingaggiato con il Cavaliere. Il quale è meno pimpante di come appare. Un successone di Musumeci lo rilancia, in quanto lui ha creduto più di tutti sia pure non dall'inizio di puntare su Nello, ma un suo trionfo troppo personale metterebbe Berlusconi in una situazione scomoda: Musumeci padrone in Sicilia, Toti che in Liguria è sempre più forzaleghista che berlusconiano, Maroni e Zaia che spadroneggiano nel lombardoveneto e insomma il centrodestra è rinato ma pieno di problemi. Che naturalmente sono meno tremendi, e risolvibili col cemento del potere, rispetto a quelli degli eventuali sconfitti (M5S e Pd).

Pensando alle politiche, da Catania il Cavaliere ha lanciato l'appello: «Votateci in massa, altrimenti dovremo governare con il Pd». Qui in Sicilia, se vince Musumeci, probabilmente dovrà governare con parte del centrosinistra (tendenza Totó Cardinale) che potrebbe andare in aiuto del centrodestra in assemblea regionale. Ma l'importante, per Berlusconi, ora è fare il pienone con FI. La sua difesa, ieri, dei cosiddetti «impresentabili» - spesso carichi di voti - è legata proprio all'estrema necessità di raccogliere tutti i consensi possibili, e dunque: «Non capisco perché si debbano penalizzare, rifiutandosi nelle liste, i parenti di chi ha avuto una condanna».

Berlusconi resta un brand, ma anche lui sa benissimo che il mix tra la sua persona e la forza delle liste che sono tante e spesso radicate nel cuore del sistema siciliano - per esempio quella Udc di Cesa e quella dei Popolari e autonomisti di Saverio Romano - potrebbe essere la chiave del successo. Con Salvini è diverso. E l'altra notte, entrando in auto per lasciare Catania, sorridendo ha raccontato il leader leghista: «Ci hanno portato a tavola la torta con i nostri ritratti disegnati. Quello di Berlusconi, di Meloni, di Musumeci, di Sgarbi e il mio. Se li sono mangiati tutti, e solo la faccia del sottoscritto nessuno se l'è messa nel piatto». Perché Matteo risulta, per ora, poco digeribile per il Cav e per i forzisti.
m.a.