Mezzogiorno, la svolta di Renzi: «Ho cambiato idea, servono misure straordinarie»

Mezzogiorno, la svolta di Renzi: «Ho cambiato idea, servono misure straordinarie»
di Pietro Treccagnoli
Domenica 18 Febbraio 2018, 08:54 - Ultimo agg. 19 Febbraio, 09:38
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Segretario Renzi, non siamo più al tempo dei sondaggi, ma ci sono quelli, fatti prima del divieto, sul gradimento dei leader. Lei ha la stessa percentuale di Berlusconi, è al 24 per cento. Gentiloni è al 35, la Bonino al 32. Come li interpreta?
«Le elezioni si fanno sui voti e sui programmi e non sui sondaggi. La sondaggiocrazia nelle ultime tre elezioni non ne ha azzeccate molte».

Non crede a questi numeri?
«Dico che un leader politico parla dei problemi della gente. Io ho un obiettivo: quello di fare del Pd il primo partito in Italia e numericamente il primo gruppo parlamentare. Sono molto contento della fiducia di cui gode il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Non ho nessun problema con Emma Bonino, solo idee diverse, tant'è che non siamo nello stesso partito».

Diventare il primo partito è per lei un obiettivo realizzabile?
«Sì. E per questo lavoreremo in questi quindici giorni».

Spera anche che la lista Bonino superi il 3 per cento?
«Spero che le liste Insieme, Più Europa della Bonino e Civica Popolari facciano la loro partita. Non c'è nessuna rivalità nella coalizione. Sarebbe stravagante il contrario. Ovviamente io lavoro per i candidati della coalizione nei collegi e per il successo del Pd a livello nazionale».

Parliamo del futuro. Tutti negano le larghe intese, la grande coalizione. Però il quadro realistico che si va configurando è quello di un Paese non governabile da una sola coalizione o partito. Non si torna alle elezioni e non c'è Grande Coalizione, ma è possibile un governo di responsabili?
«Trovo questo dibattito fuori tempo e fuori luogo. Ci sono dei Paesi dove si è fatta la Grande Coalizione e non sono pochi, a cominciare dall'esempio più eclatante: la Germania che per tredici anni ha quasi sempre avuto al governo una Grande Coalizione. L'Italia stessa viene da una Grande Coalizione che poi è diventata una Media Coalizione e una Piccola Coalizione. Però, in campagna elettorale, l'obiettivo che abbiamo è quello di portare più in alto possibile il Pd. Tutto il resto viene dopo, anche in ragione di un'evidenza».

E cioè?
«Chi, in questo giro, vota Berlusconi, soprattutto al Sud, deve sapere che non vota Berlusconi, ma Salvini. Bisogna fare attenzione. In passato il rapporto tra Forza Italia e la Lega era diverso: c'era un capo, Berlusconi, e un alleato magari un po' bizzarro o rissoso. Oggi abbiamo due leader del centrodestra che competono tra di loro. E mentre Salvini è spendibile per Palazzo Chigi, Berlusconi non lo è più. Il Berlusconi che veniva a Napoli e diceva Ghe pensi mi non è più il Berlusconi di oggi. Ogni voto dato a Forza Italia è un voto dato alla Lega e a Salvini che apostrofava i napoletani con cori che tutti voi ricordate e che non ha una cultura di governo del Mezzogiorno».

Si dice anche che se dalle urne non esce una maggioranza chiara si torna alle urne e si rivota con questa legge elettorale.
«Questo tema non sarebbe sul tavolo se al referendum avesse vinto il sì».

Però, c'è.
«Quando, prima del referendum, ripetevamo che con la vittoria del no si rischiava l'impasse avevamo ragione. Vorrei che qualcuno avesse l'onestà intellettuale di riconoscere che i problemi che noi abbiamo provato a risolvere allora adesso sono tutti lì, al loro posto. Quello che accadrà dopo il 5 marzo non sono in grado di decifrarlo finché non vedo i risultati. Penso, però, che per l'Italia resti fondamentale che il Pd sia il primo partito».

Farete alleanze?
«Non faremo alleanze con gli estremisti. Questa è l'occasione per seguire il suggerimento che a suo tempo diede il grande Indro Montanelli: Turatevi il naso e votate Pd. In molti casi non c'è neanche bisogno di turarsi il naso, perché i candidati sono ottimi».

In questo momento chi è il candidato premier del Pd?
«Il candidato premier non è contemplato da questa legge, purtroppo. Il compito di designarlo spetta al Presidente della Repubblica. Il segretario, invece, lo scelgono le Primarie».
 
Si sente di fare un'autocritica sulla legge elettorale, sul Rosatellum?
«Il nostro sistema istituzionale era un altro. Dunque non tocca a noi fare autocritica. Comunque, no, nel modo più categorico, perché questa legge è stata l'unica possibile, dopo che tutte le altre sono state bocciate. Noi l'abbiamo accettata perché era l'ultima chance. La proposta successiva sarebbe stata il sorteggio. Abbiamo dato alle forze che hanno vinto il referendum il compito di fare la legge elettorale e abbiamo seguita quella lì. La realtà, prima o poi, s'incaricherà di smentire le chiacchiere da bar. Comunque, questa legge elettorale consente a un napoletano di votare Paolo Siani o Marco Rossi-Doria, anche se magari non ama il Pd. Vota il candidato del territorio, che ci mette la faccia. Quella di prima non lo permetteva».

Veniamo al programma. Voi promettete di abbassare il debito pubblico al 100 per cento in dieci anni, con un costo di 35 miliardi. Come si abbassa il debito?
«Con un giusto equilibrio. C'è la necessità di fare una politica espansiva (riduzione delle tasse, innovazione, Industria 4.0, gli ottanta euro, i fondi per le periferie, eccetera), senza cedere alla cultura dall'austerity, che altri vorrebbero assumere come dogma. Con l'austerity il pubblico ha smesso di investire e quando accade questo il danno è devastante. Rivendico la mia lotta contro la politica dell'austerity e di essere andato a battere i pugni sui tavoli in Europa».

Davvero crede le riforme abbiano avuto un così forte impatto sulla crescita visto che poi perdiamo un punto rispetto alla crescita complessiva dell'Europa?
«Sì. Prima ne perdevamo quattro, adesso stiamo recuperando».

Anche gli altri Paesi perdevano.
«Mettendo assieme i dati di tutti i Paesi europei dal 2010 a oggi, il nostro differenziale si sta riducendo. E dal prossimo anno andremo in testa. Quando dicevo, da premier, che avremmo fatto il 2 per cento di Pil, mi prendevano per matto. Adesso facciamo il 2 per cento di Pil. E se la crescita è al 2 per cento, ridurre il debito è più semplice. È qualcosa di ben diverso dalla promessa della flat tax che dal 5 marzo non ci sarà più. Berlusconi dirà che ha fatto male i conti. La già detto nel 1994, l'ha ripetuto nel 2003 e non c'è riuscito».

Una parte delle sue riforme, però, il Pd se l'è rimangiate, come la Buona Scuola, temendo che il prezzo elettorale sarebbe stato troppo pesante.
«Si sono fatte delle modifiche, ma non così rilevanti. Penso, invece, che abbiamo fatto degli errori nel comunicarla. È stata la prima volta che si è davvero investito nella scuola. I dieci miliardi per l'edilizia scolastica non me li ha annacquati nessuno, come pure il piano digitale, gli investimenti sull'alternanza scuola-lavoro, i 132mila insegnanti immessi in ruolo. Potevamo fare di più, certo. Ma lo sblocco è impressionante. Ora si tratta di andare avanti. La Gelmini quando entrò tagliò più di 80mila posti di lavoro nella scuola».

Come si spiega, allora, che con risultati come questi, che lei giustamente rivendica, dal botto delle Europee in poi il Pd sia sempre più calato nei consensi?
«Il voto delle Europee è stato un miracolo. È stato il risultato più alto di un partito politico dal 1959 con la Dc di Amintore Fanfani. Il Berlusconi d'oro al suo top, nel 2008, ha preso il 37 per cento. Invece sembra che prima di me il Pd fosse al 40 per cento: era al 26 nel 2009, al 25 nel 2013. Tenere come punto di riferimento il voto delle Europee mi sembra ardito. L'utile di quel voto non l'ho messo in tasca, però. L'ho redistribuito, perché ho intrapreso una battaglia europea che ha ci ha consentito di ottenere la flessibilità. Se oggi i cittadini di Napoli non pagano l'Imu, se gli imprenditori di Napoli pagano l'Ires al 24 per cento anziché al 27 lo devono a quella battaglia che i professionisti della critica mi hanno contestato. Nel 2015 abbiamo vinto le Regionali in Campania. E adesso Vincenzo de Luca ha una serie di fondi pazzeschi da spendere per il litorale domizio, un'operazione senza precedenti. L'operazione Pompei l'avevamo già impostata prima, come quella per la Reggia di Caserta. La Napoli-Bari l'avevamo già accelerata. Poi ci sono il polo irpino di Grottaminarda e l'Eav».

In questa vigilia elettorale è scoppiata l'inchiesta giornalistica di Fanpage che tira in ballo Roberto De Luca, assessore a Salerno e figlio del governatore Vincenzo De Luca. Che idea s'è fatto?
«Non mi faccio idee sulle inchieste. Le rispetto. Sono andato spesso a far visita ai ragazzi di Fanpage. Per loro, che hanno ricevuto un avviso di garanzia valgono le mie posizioni garantiste. Rispetto il lavoro della magistratura e non aggiungo altro».

Intanto, l'emergenza dei rifiuti, che alimenta un sottobosco politico di destra e di sinistra, continua a essere un tratto caratterizzante della Campania. Lei ritiene che, dopo aver dato mezzo miliardo alla Regione per la gestione delle ecoballe, quanto si sta facendo sia il linea con il contratto? Condivide il lavoro fatto finora o pensa che serva un tagliando?
«Da presidente del Consiglio ho tolto ogni alibi alla Regione. I soldi che abbiamo messo sulla Terra dei Fuochi non li aveva mai messi nessuno. Il giudizio sulla realizzazione del progetto potremo darlo nel 2020. Allora capiremo se le ecoballe ci saranno ancora o saranno state smaltite».

Il presidente dell'Anac, Raffale Cantone, dice che in quest'ultima vicenda nella quale è coinvolto il giovane De Luca, al di là degli accertamenti giudiziari, inquieta scoprire che un ente pubblico come la Sma, al cento per cento della Regione, vada stipulando accordi per sversare fanghi dovunque o comunque non si preoccupa di dove verranno sversati. Tutto continua come prima.
«L'operazione Terra dei Fuochi ha procedure condivise con l'Anac e ciò che di questa vicenda dice l'Anac per me è fondamentale».

Lo stato di salute del Pd in Campania è noto. Lei due anni fa aveva annunciato il lanciafiamme che non c'è stato. Non si è riusciti a fare nemmeno il congresso provinciale.
«Vorrei parlare di come estendere gli 80 euro alle famiglie con figli, alle partite Iva, della riduzione dell'Ires e certo non si può immaginare che io apra una discussione interna sullo stato del Pd a Napoli a quindici giorni dal voto. Dico solo che con i candidati che abbiamo messo in campo il Pd farà un risultato migliore del previsto. Dopodiché ci sono candidature come quella di Paolo Siani (cito lui, ma non voglio fare torto a tutti gli altri). La mia giornata napoletana l'ho cominciata proprio davanti casa Siani, dove c'è il murales che ricorda Giancarlo ucciso nel 1985 e l'ho proseguita per le strade del Vomero, con lui. Il Pd è l'unico strumento per evitare la deriva populista ed estremista».

Torniamo a De Luca. Roberto non è solo il fratello di un vostro candidato, è anche il figlio di Vincenzo, il presidente della Regione, uno degli uomini forti del Pd al Sud. Attorno e dentro il Pd campano c'è anche un sistema familiare. Inchiesta a parte, il padre è governatore, un figlio è candidato alla Camera, un altro è assessore a Salerno.
«Ognuno ha un suo stile e un suo modo di concepire l'impegno pubblico. Io spero che i miei figli facciamo altro e ho l'impressione che da grandi faranno altro. Detto questo, Piero De Luca sta facendo una campagna elettorale molto seria. È un ragazzo che per anni ha lavorato all'estero, ha un collegio non semplice, se la gioca casa per casa. Toccherà ai salernitani decidere se eleggerlo. Nessuno può negare, però, che Vincenzo De Luca sia uno dei pochi amministratori straordinari di questa terra. Se tutto il Mezzogiorno fosse stato governato come è stata governata Salerno da De Luca sindaco, il Pil del Paese sarebbe ancora più alto. La Campania sta producendo dei risultati ottimi. Se mi dite che De Luca ha uno stile istituzionale che non è il mio, mi sembra un giudizio del tutto evidente. Poi capisco che i CinqueStelle siano in difficoltà per gli scontrini e si buttino a capofitto su questa polemica. Ma gli italiani non sono così rincoglioniti come dice Di Battista».

Nel governo, sul Mezzogiorno ci sono due differenti visioni. Da una parte la visione del ministro della Coesione, Claudio De Vincenti, più vicina alla sua, e dall'altra la visione del ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda più vicina a quella del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Da una parte si dice che il Sud non ha bisogno di misure speciali, bastano quelle ordinarie magari rafforzate. Dall'altra c'è chi sostiene che i problemi del Meridione sono insormontabili e che con le leggi ordinarie il gap con il nord aumenti. Questa dicotomia ha pesato sull'ultima stagione politica. Perché non si è affermata né l'una né l'altra?
«Il giudizio finale non mi convince, ma l'analisi è impeccabile. Tanto che adesso mi inserisco tra i convertiti».

In che senso?
«Sono partito da una visione ideologica del Sud, ma poi visitando e rivisitando il Mezzogiorno, ho cominciato a capire meglio e ho modificato la mia visione. Tutto quello che viene fatto oggi per il Sud nasce da discussioni sviluppate nel governo tre-quattro anni fa. Sono partito da una posizione meno attenta alle rivendicazioni del Mezzogiorno. Ora ritengo che serva uno stimolo agli operatori economici e politici perché non si ceda alla cultura del lamento. Devo riconoscere che alcune misure straordinarie sono indispensabili, come l'Industria 4.0 o come il sistema di finanziamento degli asili-nido legato alla spesa storica, solo per citare due punti molto differenti tra loro, ma non aiutino a ridurre il gap. Le misure straordinarie in questi anni ci sono state e le abbiamo citate. Poi ci sono state anche Bagnoli, le Universiadi, la Apple, la Cisco Academy, il Litorale Domitio, Pompei, la Reggia di Caserta, i musei della città».

Il Pd ha altri progetti per Napoli?
«Nel nostro programma c'è un progetto analogo a quello del Post-Expo da costruire insieme all'Università Federico II. Ma, in generale, va ricordato lo sblocco del turn over. La percentuale di lavoratori nel pubblico in Italia è più bassa della Francia, del Regno Unito e della Spagna. Il processo di blocco ha funzionato. Ma ora basta. Posso dire che nei prossimi anni saremo pieni di concorsi pubblici. Serviranno diecimila tra carabinieri e poliziotti. La destra ha bloccato le assunzioni e il riordino delle carriere. Noi le abbiamo sbloccate. De Luca due anni fa esagerò quando per i piani per il Sud parlò di 200mila assunzioni nel pubblico impiego. Adesso posso dire che le assunzioni in tutta Italia nei prossimi cinque anni saranno almeno mezzo milione perché sbloccheremo il turn over. Questo permetterà di ridurre la disoccupazione giovanile al Sud. Quando verranno qui Berlusconi, Salvini, Di Maio che cosa diranno? Noi abbiamo risultati da portare. I nostri non sono scontrini o bonifici finti. I soldi che abbiamo dato alla Campania non sono stati revocati come un bonifico qualsiasi».

La polemica sui bonifici non fa cambiare idea ai sostenitori dei CinqueStelle. Certo hanno barato su un milione di euro, ma comunque ne hanno versati 23.
«Ma che discorso è: allora possiamo dire che il Pd ne ha restituiti sessanta.

Perché il Pd di Bersani nel 2010 prendeva sessanta milioni di euro con il finanziamento pubblico dei partiti che io ho abolito. Se vogliamo fare la gara a chi ha restituito di più vinciamo noi. Loro hanno restituito 23 milioni in cinque anni, noi 60 in un anno. Adesso la mia indennità è pari a zero. Quando ero presidente del Consiglio era la metà di quella di Luigi Di Maio. Vogliamo la lotta nel fango? Non è più il Movimento degli onesti. Il M5S ha truffatori come tutti e ha persone oneste come tutti. Sono come gli altri, solo più incapaci. Suggerisco a Di Maio di alzare il livello di confronto, se ce la fa. Misuriamoci su euro, vaccini, grandi eventi, ottanta euro, tasse e lavoro: e vediamo chi è più credibile».

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