Giuseppe Giacobazzi a Napoli: «La mia comicità per i posteri»

Giuseppe Giacobazzi
Giuseppe Giacobazzi
di Stefano Prestisimone
Martedì 20 Marzo 2018, 14:10 - Ultimo agg. 14:29
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Accento tipicamente romagnolo e abbigliamento demodé, con sandali e calzini bianchi. Nel mirino dei suoi monologhi gli usi e costumi del Belpaese, tra i pensionati in visita ai cantieri e il mito della straniera. Ma stavolta al centro del nuovo show comico di Giuseppe Giacobazzi c’è il futuro, con un videomessaggio da lasciare ai posteri. Si intitola «Io ci sarò», lo spettacolo che il cabarettista ravennate lanciato da «Zelig circus» proporrà martedì 27 marzo all’Acacia. Inizi di carriera classici, tra radio private, piccoli palchi e localini dove proponeva il personaggio del signor Giuseppe, un contadino romagnolo semianalfabeta. Poi nel tempo ha aggiunto il cognome Giacobazzi, preso dal nome di una azienda modenese di vini. «Era sulla tuta di Villeneuve, pilota Ferrari, e mi pareva suonasse bene. Già, perché il mio vero nome è Andrea Sasdelli».

Perché «Io ci sarò», Giacobazzi, anzi Sasdelli?
«Sono un genitore di 55 anni con una figlia di 5 e quindi mi sono posto delle domande: riuscirò a vedere i miei nipoti? E nel caso li riesca a vedere, riuscirò a rapportarmi con loro come fa un nonno e quindi a viziarli, a giocare con loro, a raccontare storie? Quindi ho pensato di analizzare le difficoltà di comunicazione tra generazioni con lo scopo finale di lasciare un videomessaggio attraverso il quale interagire con i miei possibili futuri nipoti. Ma non è solo una boutade. Tutte le sere registriamo lo spettacolo e io ne conservo una copia, perché il messaggio ai posteri lo lascio per davvero».

Che cosa racconta al pubblico?
«Come siamo cambiati noi in questi anni, le nostre esperienze, le nostre abitudini e conoscenze. E cosa mi auguro per il futuro delle future generazioni. A questo proposito racconto di Superman, abituato alla vecchia cabina telefonica dove Clark Kent si trasformava in supereroe, che vuol fermare un mostro pronto a distruggere il duomo di Milano. Solo che le cabine non ci sono più, e quindi lo fanno cambiare nel negozio di moda in piazza dove trova una folla di antiquati supereroi in attesa di uno spogliatoio libero. Insomma anche i nostri miti sono diventati vecchi».

«Zelig circus» e gli show di quel tipo fanno parte del passato o possono ancora funzionare?
«Temo siano datati. La carrellata di comici ormai non funziona quasi più. I talenti ci sono ma è il contenitore che è vecchio. Dopo vent’anni bisogna trovare altre formule. E questo vale anche per “Colorado” e “Made in Sud”, che pure ha un grande regia e una brillantezza che mi piace molto. E che infatti l’ha premiata. Ma il discorso del contenitore è il medesimo. E poi oggi fare ascolti importanti è molto difficile. “Zelig” nel 2006 faceva 7-8 milioni di telespettatori, l’ultima edizione era crollato intorno ai 3. Sta cambiando tutto, le giovani generazioni sono solo sul web o sulla tv satellitare on demand. Quindi lunga vita al teatro, il luogo migliore per chi vive di parole come noi».
 

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