Sannino: «Non voglio scegliere tra Mario Merola e Bruno Mars»

Andrea Sannino
Andrea Sannino
di Federico Vacalebre
Giovedì 31 Maggio 2018, 14:27 - Ultimo agg. 14:35
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È più difficile arrivare al successo o mantenerlo? «Pe’ l’età che tengo», ovvero 32 anni, dice Andrea Sannino citando uno dei pezzi del suo secondo album, «non lo so. So che io al successo ci sono arrivato senza accorgermene, ma dopo averlo inseguito, dopo aver tentato di costruirlo con le mie mani, con la mia voce, con il mio staff». Con «Abbracciame», successo napulegno da 12 milioni di visualizzazioni, forte del sostegno di Mertens e mezza squadra del Napoli sarrista, arrivato dopo la gavetta, dopo il teatro («C’era una volta... Scugnizzi»), dopo gli inutili consigli di chi gli suggeriva di diversificare suono e stile da quello dei suoi maestri dichiarati, De Crescenzo, Da Vinci, Finizio. Inutili perché, proprio in quella scia - sia pur con cavate più contemporanee, respiri e scatti più sincopati, tenerezze più postmoderne - ha sfondato, proprio in quella scia ci riprova con il difficile secondo album (il primo, di tre anni fa, si chiamava «Uànema»: «André» sarà presentato domani, alle 17, alla Feltrinelli di piazza dei Martiri.

Squadra che vince non si cambia?
«Proprio così, l’etichetta del disco è la stessa di “Abbracciame”, lo staff compositivo pure con Pippo Seno e Mauro Spenillo, più “Na vita sana” che è un regalo di Gigi D’Alessio, e le collaborazioni di Antonio Spenillo e Antonio de Carmine».

Perché «Andrè»?
«Sono di Ercolano, napoletano adottivo, ma dopo il boom di “Abbracciame” c’era chi mi diceva che per fare sul serio avrei dovuto cantare in italiano. E io ho fatto un nuovo disco in napoletano, scegliendo per titolo il mio nome, ma come lo pronunciano a casa, dalla nonna, nel vicolo».

«Natu napulitano», insomma, per dirla con un pezzo in cui citi Troisi, ma anche Gaber.
«Certo, ma uno dei tanti napoletani possibili: tra un mese mi sposo, ma non alla maniera del “matrimonio napoletano” della tv. Quel pezzo è nato quando si discuteva sugli effetti di “Gomorra”: la serie mi piace, non lo stereotipo che ci vuole tutti uguali».

«Pe’ l’età che tengo» è uno dei primi pezzi che hai scritto.
«Sì, alle canzoni d’amore ci sono arrivato dopo, prima ho tirato fuori la rabbia per le cose che avevo vissuto, per la camorra che avevo visto nelle mie strade, per quel ragazzo che era dovuto crescere troppo presto, come tanti, soprattutto in provincia, in periferia».

Quanto di antico, di tradizionale, di canzone napoletana classica c’è nel tuo fare musica? E quanto di contemporaneo, di moderno?
«Amo Bruno Mars e Mario Merola, sono in mezzo a queste due cose e non voglio sceglierne una sola».

Brandisci la tua identità verace come una clava in «Nuie stamme ancora cca’» e «Vico Santa Rosa», fai il trottolino amoroso in «Lassame cu tte» e in «Carnale», tra la melodia infili qualche groove o qualche suono più moderno.
«E ci sono tammorre in “’O re”, c’è la collaborazione con Dadio “Foja” Sansone in “Senza fuji”: chi l’ha detto che siamo distanti, che non dobbiamo divertirci insieme?»
 

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