Francesco G. Caltagirone: «L'indipendenza con la forza della ragione»

Caltagirone: «Il Messaggero non è e non vuole essere un "bravo ragazzo"»
Caltagirone: «Il Messaggero non è e non vuole essere un "bravo ragazzo"»
Giovedì 20 Settembre 2018, 19:21 - Ultimo agg. 23 Settembre, 12:12
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Un giornale con una «forte identità», un giornale «indipendente economicamente e intellettualmente». Un giornale «che non ha paura di parlare fuori dal coro», che crede «nel primato della ragione» e non rinuncia all'approccio scientifico «in un'era in cui l'informazione circola con la velocità della Rete, la quale si nutre di giudizi istantanei e sentenze inappellabili». Ecco cos'è Il Messaggero dopo 140 anni di vita, nelle parole del suo editore, il presidente Francesco Gaetano Caltagirone, pronunciate in occasione della festa di compleanno del quotidiano che si tiene a Cinecittà alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Una festa per celebrare il giornale di Roma, la Città Eterna che «splende, si offusca ma non si spegne», ha sottolineato Caltagirone, ricordando come tra le missioni del giornale vi sia quella di «contribuire, in questo momento di grande smarrimento, a tener viva la fiamma sotto la cenere perché Roma possa tornare a splendere».
 



«Il Messaggero - ha sottolineato Caltagirone -  è un giornale con una forte identità, che crede nel primato della Ragione. È un giornale indipendente sia intellettualmente che economicamente. Perché è arbitro delle proprie idee ed è in grado di camminare con le proprie gambe». Ma «non è sempre stato così», ha detto il Presidente, ricordando «un episodio di molti anni fa. Nel 1973 la famiglia Rusconi acquistò il 50% del giornale e il diritto di nomina del Direttore. Venne scelto Luigi Barzini jr e la scelta non piacque alla redazione che impedì fisicamente, con la forza, al neodirettore di mettere piede nel giornale. Barzini era un intellettuale liberale che non taceva le proprie opinioni autonome rispetto a quelle correnti».

«Quella battaglia di libertà, come venne definita dalla redazione, che si concluse con la defenestrazione di Barzini, nascondeva la volontà di proteggere lo status quo di un giornale molto permeabile alle influenze esterne e che accontentava l'uno o l'altro dei propri referenti, politici, economici o di altra natura, secondo le convenienze del momento». «Quando acquistai il Messaggero oltre 20 anni fa - ha raccontato quindi l'editore - mi trovai anche io di fronte alla richiesta della redazione di un giornale "libero". Libero dall'editore, però, non libero dai condizionamenti esterni. In questi 20 anni molto è cambiato. Oggi il Messaggero, grazie all'attuale redazione, in gran parte rinnovata, è, se non impermeabile, poco influenzabile dall'esterno. È un giornale che osserva laicamente il mondo e lo racconta senza condizionamenti. Questa libertà - ha quindi sottolineato Caltagirone - è essenziale per la difesa dei diritti fondamentali dell'individuo e degli equilibri della democrazia. Non c'è una libertà di stampa buona e una libertà di stampa cattiva così come non dovrebbe esserci una stampa sostenuta dalla mano pubblica ed una priva di questo sostegno». 

«Il Messaggero non è e non vuole essere un "bravo ragazzo"», ha detto in un passaggio del suo discorso Francesco Gaetano Caltagirone, in occasione della festa per i 140 anni del quotidiano che si svolge a Cinecittà alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Una provocazione utilizzata dall'editore per descrivere il carattere libero e l'indipendenza del giornale di Roma. «Perché è bello essere considerati un "bravo ragazzo". Ma il "bravo ragazzo" - ha spiegato Caltagirone - è accettato e benvoluto da tutti, ma per essere tale deve accontentare tutti, o quelli della sua parte, rinunciando a se stesso e alla propria identità». Invece il Messaggero «fa della propria identità un tratto distintivo. Questa identità è, tra l'altro, la difesa dei diritti. Non solo economici ma soprattutto quelli dell'individuo che spesso rischia di essere schiacciato da chi ha potere. Questa identità è la salvaguardia delle libertà fondamentali e l'impegno a giudicare solo dopo aver avuto la completa conoscenza dei fatti».

«Un'identità - ha proseguito - che è impegnativo sostenere, soprattutto in un'era in cui l'informazione circola con la velocità della Rete, la quale si nutre di giudizi istantanei e sentenze inappellabili. Ma un'identità che il Messaggero vuole difendere, senza timore di rappresentare una voce fuori dal coro e perciò poco gradita, e anzi accettando la posizione scomoda di chi si allontana dal gregge».

Caltagirone ha quindi citato Seneca, il quale «duemila anni fa diceva che "da nulla bisogna guardarsi meglio che dal seguire, come fanno le pecore, il gregge che ci cammina davanti, dirigendoci non dove si deve andare ma dove tutti vanno. E niente ci tira dietro i mali peggiori come andar dietro alle chiacchiere della gente, convinti che le cose accettate per generale consenso siano le migliori e che, dal momento che gli esempi che abbiamo sono molti, sia meglio vivere non secondo ragione ma per imitazione". Il Messaggero vuole vivere secondo ragione, rinunciando all'imitazione e al conformismo». 

«Ragione - ha quindi spiegato Caltagirone -  vuol dire avere un approccio scientifico alle cose rifiutando le facili suggestioni che trovano oggi nella rete e nei social network un facile e pericoloso megafono come succede ad esempio sul tema dei vaccini». E ancora: «Ragione significa distinguere, con Max Weber, tra "etica dei principi" ed "etica delle responsabilità" e riflettere, e far riflettere il lettore, sulle conseguenze e sulla sostenibilità delle nostre scelte. Ragione vuol dire evitare i processi sommari per inseguire il consenso del momento e non legittimare la ricerca di un facile capro espiatorio da linciare. Ragione vuol dire rifiutare il pregiudizio ma esercitare con serenità il diritto di critica verso qualcuno o qualcosa. Vuol dire non alzare la voce solo perché lo fanno gli altri».

Nel ricordare come il Messaggero sia da sempre il giornale di Roma, Caltagirone ha quindi sottolineato: «Noi vogliamo contribuire, in questo momento di grande smarrimento, a tener viva la fiamma sotto la cenere perché possa tornare a splendere.
Perché i molti romani distratti che non percepiscono più la vibrazione che dà il genius loci, tornino a sentirla, a difenderla, ad esserne orgogliosi e contribuiscano a restituire a Roma il ruolo che ha avuto nel mondo e nel tempo. Essere il giornale di Roma significa anche essere il gironale che tutto il mondo guarda quando c'è qualcosa di rilevante in Vaticano. Queste le tipicità del Messaggero. Queste le sfide che trasformano il lavoro quotidiano dei redattori e dell'Editore da una semplice professione in una vera e propria missione. Non facile, certo, ma non è questo il momento delle cose facili. È il momento delle sfide».

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