Maria Pirro
Prontosoccorso
di

Chiambretti e il bimbo autistico alla festa senza amici

di ​Maria Pirro
Martedì 2 Ottobre 2018, 21:40
3 Minuti di Lettura
«Fosse accaduto a me, avrei pianto. Sono fatti che fanno male al cuore, queste famiglie sono lasciate troppo sole», dice Piero Chiambretti, a proposito del bimbo di quattro anni autistico senza amici nel giorno del compleanno, ricordando la sua esperienza con gli allievi del Cottolengo di Torino, la scuola considerata invece più attenta all'integrazione in Italia: l'undici per cento dei suoi 400 iscritti è disabile. E, per questo, in istituto è stato allestito un piccolo set e realizzata una campagna promossa dalla Fondazione italiana per l'autismo con l'obiettivo di informare e raccogliere fondi destinati a progetti di ricerca e interventi mirati.

Il suo spot è stato girato intorno a queste parole chiave: «Siamo autistici, mica fessi».
«Durante le riprese, ho frequentato bimbi e ragazzi speciali e incontrato genitori preoccupati ma i problemi legati alla malattia non devono condizionare le loro vite».
E invece, la storia «amara», come l'ha definita la mamma del bimbo di Cavezzo, nel Modenese, dimostra che accade il contrario.
«Ne avvengono cento, non una, purtroppo. Io sono un padre fortunato perché ho una bimba che non ha problemi di salute, ma posso capire il dolore che avrei provato in una situazione simile: sì, avrei pianto disperatamente senza farmi vedere da mia figlia».
A Napoli l'associazione Tutti a scuola ha ideato una festa, Giochi senza barriere, come risposta a un invito mancato a bimbo disabile da parte dei compagni di classe. Ma, dalle gite scolastiche alle occasioni di lavoro, bambini e ragazzi autistici sono ancora esclusi. Perché?
«Né gli adulti né le istituzioni attraverso tutti i mezzi, di comunicazione e non solo, riescono a trasmettere oggi quel senso di normalità che è importante dare anche in situazioni di estrema fatica nel quotidiano».
E le famiglie restano sole.
«Sono lasciate sole e spesso la solidarietà è solo di facciata. Di strada ne è stata fatta poca».
Come reagire? Occorre ripartire dalla scuola o quali interventi suggerisce?
«Non basta una sola iniziativa, ne servono in tutti i campi. A scuola, coinvolgendo i genitori, ma anche con i bambini va fatto un lavoro importante».
Ci sono realtà, ad esempio nelle scuole del Vomero, dove tutti gli allievi autistici vengono presentati dai neuropsichiatri ai compagni perché possano capire il loro linguaggio e quindi interagire.
«I bambini di oggi saranno gli adulti di domani. È decisivo un intervento a tappeto».
Stando a contatto con i bimbi dell'istituto Cottolengo, quali storie le sono rimaste nel cuore?
«Non una sola, ma parlarne sarebbe facile retorica».
Che cosa l'ha colpita, allora?
«Innanzitutto, il coraggio dei genitori: hanno una forza straordinaria nel prendersi cura dei loro bimbi e ragazzi e nel e superare gli inevitabili momenti di scoramento nella giornata dovuti a problemi tanto seri».
Eppure, non può bastare.
«Non possono dimenticare una preoccupazione che mi è stata riferita da tutte le famiglia durante ogni incontro per lo spot: Quando saremo anziani, chi si occuperà di loro?»
È la paura più grande, quella del dopo di noi.
«È un timore estremamente profondo: deve essere un problema nostro».
Oltre lo spot, quale messaggio vuole mandare?
«Spero che comunicare il mio disappunto, il dispiacere e l'imbarazzo per quanto accaduto al bambino di Cavezzo possa aiutare a far capire che tutti noi dovremmo provare questo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA