Elisa: «Diari aperti» tra Calcutta e De Gregori

Elisa Toffoli
Elisa Toffoli
Venerdì 26 Ottobre 2018, 22:40 - Ultimo agg. 27 Ottobre, 10:42
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Ha detto addio alla Sugar e Caterina Caselli, che l’aveva lanciata e imposta, ma forse Elisa (Toffoli all’anagrafe, ma scognomata come si usa) ha fatto molto di più con il suo nuovo album, «Diari aperti», l’incipit di «Tutta un’altra storia» (Pino Daniele non c’entra niente) sembrerebbe quasi una svolta drastica con il passato, più solare e meno melanconica, più aperta e meno color pastello: «Non è un cambio di rotta, in fondo porto a compimento una ricerca che ho sempre praticato, qui i testi sono più diretti che mai, più autobiografici, ma preferisco sempre raccontare sentimenti piuttosto che storie, evocare panorami emotivi piuttosto che mettere in scena persone. Non ci sono filtri, parlo con me stessa e di me stessa come potrei fare in uno dei diari del titolo, avevo dieci anni quando ho iniziato a mettere la mia vita su una pagina bianca e, in fondo, non ho mai smesso. Con Caterina nessuna rottura, ma volevo provare com’è lavorare per una major, la Universal, e mi sono messa in gioco completamente, senza maschere né metafore».
Per fare questo la quarantenne triestina ha dovuto mettere da parte la sua lingua canora preferita: «È un disco tutto in italiano, per un diario era una necessità, anche i suoni sono spesso nostrani, ma è stato anche castrante mettere da parte i brani in inglese, anche i suoni sono molto nostrani, italiani». Da qualche parte spunta persino una canzone per l’estate: «In passato ho sempre scritto tutto da sola, o dal cielo mi sono piovute due canzoni inedite di Ligabue tutte per me. Stavolta mi sono fatta aiutare da giovani bravissimi con cui si è creato un vero scambio: apprezzo la nuova scena e loro mi hanno dato la spinta e l’energia che mi serviva. Ecco allora che ho scritto con Calcutta, con Cheope, con Federica Abate, con il napoletano Davide Petrella a cui devo anche quell’EstaThe che in passato non sarebbe mai finito tra i miei versi, proprio come forse non avrei mai frequentato suoni così caraibici». Il suono, più intimo e solare, è vero, ma senza esagerare e ritrovando con il passare delle tracce il filo dell’unità stilistica con la precedente produzione. Poi, con un forte gap generazionale, ma forse anche come filo rosso che unisce diverse generazioni cantautorali, arriva «Quelli che restano» («È che mi chiedevo se la più grande fatica è riuscire a non far niente/ a lasciare tutto com’è, fare quello che ti viene e non andare dietro la gente»): «È una medaglia che non credevo di potermi appuntare, ho composto il pezzo pensando a De Gregori, uno dei miei idoli assoluti, e... Francesco lo canta con me, senza che nemmeno una parola sia sua».
Insomma, guarda ai giovani, la nuova Elisa, ma non a tutti i costi. «Vivere tutte le vite» è una «riflessione sul narcisismo a cui ci portano i social, il delirio di onnipotenza che ci spinge ad essere quello che forse non saremmo diventati, anche se in qualche modo faceva parte di noi». Spaventata dai «nuovi mostri» del web, la chanteuse che vive a Monfalcone ha dedicato «Promettimi» al secondogenito Sebastian, scelto per una campagna di Save The Children, di cui lei è ambasciatrice. Rimpianti non ancora affidati ai suoi «Diari intimi»? «Quello di sempre, il non essere riuscita a trovare la strada del mercato internazionale. Era il mio sogno non l’ho seguito come meritava». Progetti? «Il mio tour, parto il 18 marzo dell’anno prossimo da Firenze, arrivo a Napoli il 30 dello stesso mese, all’Augusteo, i teatri sono adatti ai racconti privati di questo disco».

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