Notte di Hilsenrath

Notte di Hilsenrath
Domenica 25 Novembre 2018, 12:44
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Nel panorama di intrattenimento e inutilità della cultura italiana, ogni tanto arriva un vecchio libro a ricordarci che la letteratura è altro. Questo altro è “Notte” (Voland, traduzione di Roberta Gado) di Edgar Hilsenrath, una cascata di scrittura e durezza, forza e restituzione, che viene da paragonare a Vasilij Grossman per l’ampiezza del racconto e la capacità di restituzione larga di un dolore comune a un popolo, quello ebraico. È anche la storia di Hilsenrath che viene trasposta nella vicenda di Ranek nel ghetto di Prokov, l’equivalente immaginario di Mogilev, in Transnistria, dove l’autore fu deportato nel 1941. Lo scarto sta tutto nella modalità di racconto “provocatorio e disturbante”, come ricorda in postfazione Paola Del Zoppo, che esce dal consueto, abbracciando una narrazione eversiva fatta di illusioni e provvisorietà, rotture e salti; con una freschezza di visione (causa delle tante traversie editoriali) che inchioda le impressioni, le illusioni, lavorando su quello che è – solo – apparentemente irrestituibile. Un pezzo unico, capace di stupire chiunque.
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