Madre uccide il figlio di 3 mesi in preda a un raptus: «Lo amavo, avevo la mente oscurata»

Uccide il figlio di tre mesi lanciandolo a terra
Uccide il figlio di tre mesi lanciandolo a terra
Lunedì 3 Dicembre 2018, 10:34 - Ultimo agg. 4 Dicembre, 12:18
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Avrebbe ucciso il figlio di tre mesi «scaraventandolo violentemente a terra», in preda a un raptus che neppure lei riesce ancora spiegarsi. Poi è rimasta per qualche minuto in silenzio, attonita, prima di urlare per chiedere aiuto. A due settimane dalla tragedia, avvenuta a Catania il 14 novembre scorso, con il piccolo morto l'indomani in ospedale, la donna, una 26enne, è stata arrestata dalla polizia.

Il gip, accogliendo la richiesta della Procura, ha disposto per lei la custodia cautelare in carcere per omicidio aggravato dall'avere agito contro il discendente. In un primo momento la madre aveva riferito che il figlio «si era fatto male cadendole accidentalmente dalle braccia a causa di una spinta che si era data da solo». Successivamente, però, sentita davanti al magistrato alla presenza del difensore di fiducia, l'avvocato Luigi Zinno, la 26enne ha ammesso che la caduta non era stata accidentale, ma era stata lei a scaraventarlo a terra con forza.

Avevo la «mente oscurata» e «non so spiegare cosa è successo», ma, si è difesa la donna, sicuramente «non volevo uccidere mio figlio, non ho mai pensato di ucciderlo» perché «io lo amavo». Ai magistrati, ricostruisce l'avvocato Zinno, ha detto di «essersi sentita male» e che la sua intenzione era di «gettarlo sul letto e non per terra». Una ricostruzione non condivisa né dalla Procura né dal gip che le contesta di aver «scaraventato il figlio di tre mesi a terra» agendo «di certo al fine di ucciderlo». E il giudice delle indagini preliminari Giuseppina Montuori sottolinea che «non può in nessun modo ritenersi corrispondente al vero neppure quanto dalla stessa riferito in ordine alla assenza di volontà omicida ai danni del neonato». Versione che sarebbe confermata, secondo l'accusa, dalla presenza di più lesioni al cranio. Ma il padre la difende: «È stato un incidente - sostiene - mia figlia amava tanto suo figlio, lo ha voluto con tutte le sue forze. Ha avuto un parto complicato, rimanendo ricoverata per 10 giorni dopo la nascita del piccolo».

Accanto a lui il padre del neonato che si era riunito alla compagna dopo avere saputo della tragedia, che non ha voluto rilasciare dichiarazioni. La tragedia è avvenuta nella casa del padre della 26enne, in cui vive anche la sua anziana nonna paterna. La donna, alla sua prima gravidanza, non è sposata e al figlio aveva dato il proprio cognome. A sua nonna aveva detto che il piccolo gli era scivolato dalla mani ed era finito a terra. «Quel giorno stava male - ricostruisce l'avvocato Zinno - e aveva chiamato suo padre, che era al lavoro, per dirgli se poteva tornare a casa. La signora aveva avuto un'infanzia dolorosa per la morte della madre, che ha perso quando aveva 11 anni. Quando è rimasta incinta è andata a vivere con il padre e la nonna». Secondo l'avvocato, la donna ha sofferto di «una grave forma di depressione post partum, che ha aggravato la sua condizione di persona fragile psicologicamente».

Per questo il padre le aveva fissato degli incontri con specialisti, ma lei non sarebbe andata. Una prima consulenza neuropsichiatrica del pm ha accertato che la donna «non evidenzia alterazioni delle funzioni cognitive», ma, di contro, «l'affettività appare molto disturbata» e che per questo «necessità di cure e contenimento opportuni per prevenire peggioramenti e complicanze».

Cure che per il gip, visto che il suo stato di salute non è incompatibile con la detenzione, può ricevere anche in carcere. Dove domani sarà sentita, alla presenza del suo legale, per l'interrogatorio di garanzia. Le indagini del commissariato di polizia Borgo-Ognina sono state coordinate dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall'aggiunto Ignazio Fonzo, che coordina il dipartimento reati contro le persone, e dal sostituto Fabio Saponara.

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