Battisti, i poliziotti: «Ha riacceso il cellulare per avere pizza e birra, così lo abbiamo stanato»

Cesare Battisti a Ciampino
Cesare Battisti a Ciampino
di Cristiana Mangani
Mercoledì 16 Gennaio 2019, 00:04 - Ultimo agg. 18:00
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Uno a destra e l’altro a sinistra, non potevano essere che loro ad accompagnare Cesare Battisti giù dalla scaletta dell’aereo che lo ha riportato in Italia: Emilio Russo, primo dirigente dello Scip (il Servizio di cooperazione internazionale di Polizia) e Giuseppe Codispoti, vice questore della direzione centrale della Polizia di prevenzione. Per lungo tempo hanno vissuto con il solo obiettivo di catturare il terrorista dei Pac. In prima linea, tra Brasile e Bolivia, alla ricerca del latitante che per circa due mesi è riuscito ancora a sfuggire. Tra di loro lo chiamavano “il cantante”, per quel cognome che lo associa al grande Lucio. E ora, del killer dei Proletari armati per il comunismo, dicono che «sembra rassegnato e cosciente del fatto che questa volta la corsa è finita». Ha commesso errori? «In realtà nessuno - spiega Codisposti -. La sua latitanza era ben organizzata anche se probabilmente era stanco della fuga. Se un errore c’è stato è nella continua voglia di passeggiare. Una debolezza che alla fine lo ha tradito».

GLI ERRORI
A fregarlo sono state tre cose: le continue camminate, ma anche la passione per l’alcol e per la pizza. Perché quando tutto sembrava nuovamente perduto e le tracce del cellulare erano scomparse, il terrorista ha commesso l’errore di riaccenderlo per farsi consegnare pizza e birra. In Bolivia, poi, chissà che pizza sarà mai stata. In quel momento i due poliziotti italiani - che tengono a sottolineare quanto sia stato fondamentale il contributo dei colleghi boliviani - hanno ritrovato il percorso seguito. Le tecnologie messe in campo, anche con l’aiuto dell’Aise, il servizio segreto estero, hanno permesso agli investigatori di recuperare tabulati, contatti, e di circoscrivere una serie di aeree dove il telefonino veniva usato: i quartieri Urbarì e Santa Rosita. Ma la vera indagine è stata quella “porta a porta”. «Avete presente un’analisi del territorio vecchia maniera? - spiega Russo - La Bolivia non dispone di grandi tecnologie, ma il lavoro è stato capillare. Siamo tornati indietro di 30 anni per fare i pedinamenti. E comunque non si poteva fermare per controlli troppa gente: Santa Cruz de La Sierra è una grande città, ma si sarebbe sparsa la voce che c’era la polizia italiana, e quello non doveva assolutamente accadere».

Gli appostamenti hanno dato il risultato. Battisti è stato fermato dalla polizia boliviana per un normale controllo e portato negli uffici. Non ha reagito in maniera scomposta, ancora non immaginava che ci fossero degli italiani. «Poi lì ci siamo fatti vedere e abbiamo svelato il vero motivo del controllo - racconta ancora Codispoti - Lui ha capito e c’è rimasto male. È crollato sulla sedia, consapevole di dover passare lungo tempo in carcere».

ATTEGGIAMENTO REMISSIVO
Una volta sull’aereo per l’Italia, poi, ha avuto ancora più chiaro che la partita era persa. «Ha parlato poco - aggiungono i due investigatori - Ha detto che non gli piaceva il calcio e che non era tifoso di nessuna squadra. Addirittura non era mai stato al Maracanà. Ci ha detto: “Siete stati bravi, percepivo il fiato sul collo anche se non sapevo quanto tempo ci avreste messo”». Nel ricostruire la sua fuga, è stata rintracciata anche la persona che gli ha prenotato la stanza nell’hotel “Casona Azul”, un boliviano. E la conferma arriva dallo stesso proprietario dell’albergo, il signor Peralta. «Alla reception della pensione Battisti ha lasciato i documenti di una persona boliviana che lo aveva accompagnato - racconta - Non riceveva nessuno, ha incontrato delle persone fuori dall’albergo, sempre dei boliviani. Ha comprato una mappa della Bolivia e mi ha fatto domande sulla geografia del paese». 
Quando lo hanno preso aveva una carta di credito Visa, un’agenda con foglietti e annotazioni, patente, carta d’identità, tessera sanitaria e codice fiscale brasiliani. E ora quella carta e quell’agenda, assieme al suo cellulare potrebbero consentire di ricostruire ulteriori dettagli della latitanza e, soprattutto, la rete che lo ha protetto in questi mesi. 
 

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