Auto e moto, il Sud paga il costo più alto

Auto e moto, il Sud paga il costo più alto
di Nando Santonastaso
Giovedì 31 Gennaio 2019, 08:39 - Ultimo agg. 11:47
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Il dato ufficiale è atteso per oggi ma che anche la stima preliminare del Pil relativo al quarto trimestre 2018 possa essere negativa come quella del trimestre precedente, in tanti lo danno per scontato. Recessione tecnica, insomma, in arrivo, con incognite pesanti non solo sulle risorse da destinare in base alla legge di bilancio alle priorità individuate dal governo gialloverde, reddito di cittadinanza in testa, ma anche sul futuro del Sud che pagherebbe un prezzo doppio rispetto al Nord rivedendo gli spettri che hanno accompagnato dal 2008 al 2015 la caduta della crescita in proporzioni quasi bibliche.

Già, perché se si confronta la recessione annunciata con quella del 2013 si scopre che la caduta del Pil non è uguale dappertutto: a fronte di un calo nazionale dell'1,9 per cento il Sud registrò quell'anno una riduzione del 4 per cento, doppia cioè rispetto al dato complessivo. E, come se non bastasse, solo cinque anni fa il peso maggiore della recessione fu scontato nel Mezzogiorno dal mercato del lavoro, in particolare nel settore industriale: in questo comparto, infatti, l'occupazione scese del 7,7 per cento contro il -0,7 per cento del Centro. Ricordare questi dati non è un esercizio di memoria o un invito al piagnisteo: è il punto di partenza, invece, per capire oggi quanto un nuovo calo del Pil costerebbe alla parte più debole del Paese, considerato tra l'altro che, solo per restare ai dati dell'occupazione, da quel tonfo il Mezzogiorno non si è ancora ripreso.

 

Mentre infatti, finita la crisi 2008-2015, il Settentrione ha recuperato per intero i posti di lavoro e i livelli di competitività del proprio sistema industriale, il Sud deve ancora risalire la china sia in termini di lavoro (all'appello mancano ancora circa 300mila posti persi in quel periodo, la metà del totale), sia in termini di tenuta complessiva del proprio apparato produttivo. Tanto è vero, come dimostrano tutti gli studi sul divario pubblicati nel 2018, dal rapporto Svimez al Check-up Mezzogiorno di Srm-Confindustria, che nonostante gli incrementi registrati nei settori di punta dell'industria, automotive e aeronautica in testa, dell'agro-alimentare e del farmaceutico, la distanza dai livelli medi dell'Italia negli stessi settori si è accorciata solo di poco, confermando l'intrinseca debolezza di un'area zavorrata pesantemente dalla caduta degli investimenti pubblici. Ma oggi dove colpirebbe al Sud di più la recessione? E si amplierebbe, nei fatti, il divario che proprio gli ultimi dati statistici hanno segnalato di nuovo in crescita? Proviamo a rispondere con qualche esempio.

AUTOMOTIVE
A giudizio di molti è il settore nel quale la già preoccupante crisi di vendite rischia di accentuarsi pesantemente a causa della riduzione del Pil, aggravando uno scenario negativo che proprio al Sud si è manifestato in termini di calo dell'export negli ultimi mesi. «Il grosso pericolo è questo - conferma Giuseppe Di Taranto, economista della Luiss -, fermo restando che certe valutazioni siano corrette avendo il governatore della Bce Mario Draghi sostenuto che la recessione in realtà non dovrebbe colpire né Italia né Germania. L'auto, non dimentichiamolo, vive di andamenti ciclici per cui era prevedibile una crescita inferiore delle vendite dopo i lunghi periodi positivi del recente passato. La recessione influirà sicuramente sulla fiducia dei consumatori che sono più portati in questi periodi a mantenere in vita auto vecchie piuttosto che comprarne di nuove».

AGROALIMENTARE
Qui l'effetto recessione sembra decisamente più modesto, sia in termini di domanda interna sia in termini di produzione. Il forte export registrato al Sud dalle filiere più brillanti del Made in Italy lascia prevedere una situazione quantomeno stabile anche nei prossimi mesi. «La spinta del Reddito di cittadinanza, concentrata soprattutto al Sud, lascia ipotizzare un incremento della domanda di prodotti alimentari - spiega ancora Di Taranto -. E il fatto che all'estero questo Made in Italy sia così consolidato è sicuramente un argine a uno scenario incerto che in ogni caso riguarderà le economie di tutta Europa».

SEMILAVORATI
Se ne parla poco, forse, ma in realtà è uno dei settori dai quali si può cogliere lo stato di salute di un'economia. Si tratta di prodotti intermedi che per essere commercializzati come prodotti finiti hanno bisogno di ulteriori lavorazioni. In questo comparto, che va dall'alluminio all'imballaggio alimentare, nel quale operano centinaia di piccole aziende, l'effetto recessione rischia di essere più pesante, soprattutto al Sud. Per mantenersi infatti sempre competitive sui mercati internazionali c'è bisogno di investimenti e di impegni robusti in ricerca e sviluppo che aziende di dimensioni troppo piccole potrebbero non vedere mai specie se il sostegno pubblico dovesse diventare molto più complicato per via della riduzione del Pil.

LUSSO
Anche qui rischia di meno il Nord che dispone della quota maggiore di ricchezza e di aziende impegnate in settori di alto valore aggiunto come l'oreficeria, la moda, il design. «In linea generale - dice ancora Di Taranto - parliamo di un comparto maturo e garantito dalla sua qualità riconosciuta in tutto il mondo. Ma non si può escludere, in condizioni di perdurante recessione, che la miriade di aziendine fornitrici, basti pensare solo a quelle meridionali che garantiscono sartoria di qualità ai grandi marchi del Nord, possa essere duramente investita dallo scenario complicato che si profila all'orizzonte».
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