Sanità, così il Nord toglie a Roma guida e controllo

Sanità, così il Nord toglie a Roma guida e controllo
di Andrea Bassi
Giovedì 7 Febbraio 2019, 01:32 - Ultimo agg. 8 Febbraio, 13:16
3 Minuti di Lettura
Non ci sono solo i ministeri. Il progetto autonomista di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, rischia di svuotare la Capitale di funzioni fondamentali di indirizzo e controllo. A cominciare da un settore delicatissimo come quello della salute. L’Aifa, l’Agenzia italiana per il farmaco, per esempio, rischia di essere depotenziata. Effetti collaterali dei progetti che le tre Regioni stanno trattando con il governo.

Manca ormai una settimana all’arrivo delle bozze d’intesa sul tavolo del consiglio dei ministri. Il buio è ancora fitto, perché sulla trattativa non c’è nessuna trasparenza. Ma gli allarmi intanto si susseguono. La fondazione Gimbe, in think tank che si occupa di temi sanitari, ha pubblicato un corposo dossier sul regionalismo e sui suoi effetti sul sistema della salute. I risultati non sono incoraggianti. L’Aifa si diceva, l’Agenzia che ha sede nella Capitale e che ha l’ultima parola sull’immissione in commercio dei farmaci. Emilia Romagna, Lombardia e Veneto vorrebbero il diritto di sottoporre all’Agenzia autonomamente le valutazioni sui farmaci da immettere in commercio.

Ma il punto è che l’Aifa avrebbe solo 180 giorni per rispondere, altrimenti varrebbe il principio del silenzio-assenso. Insomma, se l’Agenzia non si pronunciasse, la Regione, in base alle proprie valutazioni, potrebbe assumere decisioni autonome sui farmaci. Ma non c’è solo questo. Il Veneto, in particolare, chiede pieni poteri sul personale sanitario, dai medici agli infermieri, con la possibilità di effettuare autonomamente la contrattazione collettiva oggi affidata all’Agenzia Aran, anche questa con sede nella Capitale. Che effetti avrà tutto questo?

LE DISEGUAGLIANZE
«Già oggi», spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ci sono 21 sistemi sanitari differenti che generano diseguaglianze sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia soprattutto negli esiti di salute». Il regionalismo differenziato, aggiunge Cartabellotta, «finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale dell’eguaglianza dei cittadini». Ma cosa accadrebbe se la richiesta delle Regioni si allargasse anche al finanziamento del sistema sanitario. «Veneto e Lombardia», spiega Cartabellotta, «vorrebbero trattenere una maggiore quantità di imposte sul loro territorio, che porterebbe però verso un modello di Stato federale. Ma sulla Sanità», aggiunge, «questa indicazione non si trova nelle pre-intese firmate con il governo Gentiloni». In realtà nella proposta di legge statale predisposta dalla Regione Veneto sull’autonomia differenziata, e che costituisce la piattaforma di trattativa con il governo, è scritto chiaramente che «il finanziamento del sistema sanitario regionale avviene a carico del bilancio regionale». 

I REALI OBIETTIVI
Il Veneto, insomma, si tirerebbe fuori dai meccanismi di riparto del Fondo sanitario nazionale. Se infatti da un lato è vero che la Sanità già oggi si finanzia con l’Irap e con la compartecipazione all’Iva, dall’altro è altrettanto vero che attraverso il riparto nazionale approvato ogni anno in Conferenza Stato-Regioni, si attua in qualche modo un meccanismo compensativo tra le Regioni più ricche e quelle più povere. Nella stessa relazione del provvedimento questo obiettivo non viene taciuto. Il progetto, si legge, «mira ad allineare la Regione Veneto sul modello delle altre Regioni a statuto speciale del Nord, dove il sistema sanitario regionale è auto finanziato e gestito». Esattamente quel modello “federale” che lo stesso governatore Luca Zaia non nasconde essere l’obiettivo finale della riforma. Con buona pace della Capitale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA