Autonomia, ostacoli dai ministeri: un mese in più per trattare

Autonomia, ostacoli dai ministeri: un mese in più per trattare
di Andrea Bassi
Lunedì 11 Febbraio 2019, 23:48 - Ultimo agg. 12 Febbraio, 16:34
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ROMA La dead line del 15 febbraio sarà formalmente rispettata. Ma la trattativa sull’autonomia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna proseguirà ancora. Probabilmente per un altro mese, fino al 15 marzo. Non tutti i nodi infatti, sono stati sciolti. A cominciare dal fatto che mancano i pareri del ministero dell’Economia. E non è un dettaglio, visto che le tre Regioni del Nord chiedono di mantenere sul territorio più risorse attraverso una compartecipazione al gettito Irpef. Cosa accadrà allora venerdì? Il ministro Erika Stefani, presenterà in Consiglio dei ministri tre bozze di intesa, una per ognuna delle Regioni che ha chiesto poteri e competenze. Il Consiglio dei ministri dovrebbe autorizzare il premier Giuseppe Conte a firmare le intese. Ma prima di farlo, Conte aprirà un confronto “finale” con i tre governatori per arrivare a marzo alla firma e poi trasmettere alle Camere i tre disegni di legge per recepire gli accordi. Più di un ministero ha espresso riserve sul contenuto degli accordi e su diversi punti la sintesi “tecnica” non è stata trovata. Il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha parlato «di forti resistenze in alcuni ministeri. Con alcuni», ha aggiunto, «è stato impossibile il confronto perché non si sono neanche presentati agli incontri». Le bozze, del resto, mettono nero su bianco la necessità per le amministrazioni centrali di essere «ridimensionate» per il trasferimento delle funzioni alle Regioni. Dunque resistono. Lo stesso governatore del Veneto, Luca Zaia, da giorni ripete che se l’intesa non sarà soddisfacente lui «non firmerà». Il che, ha trasformato alcuni passaggi tecnici in «nodi politici» che dovranno essere sciolti direttamente dal premier. Ieri lo stesso Conte ha provato a gettare acqua sul fuoco. «Anche se rinforzeremo l’autonomia di alcune regioni», ha detto «lo faremo in modo ragionevole e razionale per preservare la coesione nazionale». Conte ha provato a rassicurare le Regioni meridionali dicendo che gli accordi non sottrarranno nulla al Sud. Sul regionalismo differenziato, tuttavia, l’anima pentastellata del governo è in affanno. Il Mezzogiorno è il principale bacino elettorale dei grillini. L’autonomia di Veneto e Lombardia rischia di essere un rospo troppo grande da ingoiare, soprattutto alla luce dei deludenti risultati delle regionali in Abruzzo.

LE REAZIONI
Ieri Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali, uno degli esponenti più influenti del Movimento, considerato vicinissimo a Luigi Di Maio e a Davide Casaleggio, ha frenato gli entusiasmi leghisti, spiegando che «il tema è complesso e ci sono diversi punti da vedere». Buffagni ha anche parlato della possibilità di trasferire funzioni a tutte le Regioni, non solo a quelle che ne hanno fatto richiesta. Non è chiaro in che modo, visto che le competenze sono stabilite dalla Costituzione e sarebbe necessario modificarla per trasferirne una parte agli enti locali. Il punto però, resta politico. Ai Cinque Stelle è chiaro che la firma di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna rischia di rompere gli argini. Ieri il governatore della Liguria, Giovanni Toti ha fatto sapere di aver presentato «una bozza su cui baseremo la nostra trattativa. Con il ministro Stefani», ha aggiunto, «abbiamo deciso di sederci al tavolo non appena Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna avranno chiuso la loro intesa». E la lista potrebbe presto allungarsi.
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