Andrea Camilleri e l'appello profetico agli italiani: «Non abbiate paura»

foto di scena di Lia Pasqualino
foto di scena di Lia Pasqualino
di Riccardo De Palo
Martedì 5 Marzo 2019, 18:45 - Ultimo agg. 17 Giugno, 11:32
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«Chiamatemi Tiresia. Per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di Moby Dick. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro...» Stasera va in onda su Rai1, alle 21,25, in prima assoluta e (udite udite) senza alcuna interruzione pubblicitaria, Conversazione su Tiresia, lo spettacolo scritto e interpretato da Andrea Camilleri. Un racconto rocambolesco e assieme introspettivo, attraverso le tribolazioni dell'indovino cieco e le sue fortune nell'arte di tutti i tempi. Una serata evento, andata in scena al Teatro Greco di Siracusa lo scorso 11 giugno, a cura di Valentina Alferj, regia tv di Roberto Andò e Stefano Vicario, produzione Palomar e musiche dal vivo di Roberto Febbriciani. Il testo, raccolto in un libretto, è stato appena pubblicato da Sellerio.
L'incapacità di vedere diventa metafora di preveggenza: «Da quando non vedo più, io vedo meglio, vedo con più chiarezza». Così come la possibilità di vivere sette vite - «questa è una delle sette. Non posso dirvi quale» - diventa ironico riferimento alla propria età, alla ricerca di una saggezza finalmente compiuta.

Signor Camilleri, lei ha scelto Tiresia, un personaggio mitologico non vedente (e di qui l'affinità con l'autore), transessuale suo malgrado, che vive la trasformazione in una donna e viceversa. Lei vorrebbe vivere la stessa esperienza, per sapere cosa si prova in un corpo femminile?
«In verità Tiresia non è transessuale, è stato totalmente uomo e totalmente donna, questa è una delle ragioni che più mi ha appassionato, vivere perfettamente il lato femminile e il lato maschile. Io ho sempre amato molto le donne ma non ho mai desiderato di possedere un corpo di donna».

Tiresia ha in dono da Zeus, come compensazione per il torto subito (la cecità), la possibilità di vivere sette vite ma anche «la più tremenda delle condanne», la capacità di prevedere il futuro. Perché «tremenda»?
«Perché come dice il mio Tiresia, il futuro degli uomini e delle donne è costellato di dolori, di morti, di perdite e Tiresia non desiderava essere profeta di sventure».

Se lei avesse la stessa capacità di formulare vaticini, cosa le piacerebbe vedere nel nostro futuro?
«Semplicemente il rispetto reciproco. Un mondo dove fosse possibile discutere di tutto senza aver bisogno di ricorrere all'insulto, insomma un mondo dove ci sia una estrema civiltà di rapporti».

Lei racconta con ironia l'incontro di Tiresia con Edipo, e la sua comprensibile ritrosia a raccontargli la verità. Siamo tutti vittime del complesso di Edipo?
«In un modo o nell'altro sì... I maschi, evidentemente meno complessi e complicati, passano la vita a cercare donne che assomigliano alla madre o sono il contrario opposto. Credo però che talvolta basti poco, cambiare il proprio punto di vista, per sbarazzarsi di retaggi che non ci appartengono. Ma qui entriamo nella psicologia spicciola».

Lei cita le Metamorfosi di Ovidio, un libro meraviglioso che oggi farebbe ombra ai film di supereroi della Marvel. Il suo spettacolo è un grande elogio della cultura classica. Perché la ritiene ancora così importante per noi?
«Semplicemente perché i classici hanno già raccontato tutto. Non c'è nulla, e dico nulla che non sia stato già analizzato, raccontato, e cantato dell'animo dell'uomo. Noi scrittori di oggi lavoriamo sulle briciole lasciate da questi grandi autori».

Lei cita un altro scrittore cieco, Jorge Luis Borges: «Noi tutti siamo il teatro, il pubblico, gli attori, la trama che udiamo». Il mondo, dunque, è un palcoscenico?
«Evidentemente. Ce lo insegna Shakespeare, il mondo è un teatro dove noi tutti siamo attori. Talvolta riusciamo a essere protagonisti del racconto della nostra vita, a volte invece solo spettatori».

Sente davvero, come scrive, l'urgenza di capire l'eternità?
«L'urgenza purtroppo non viene dal mio sentire, da una curiosità, ma dai miei 93 anni che mi conducono sempre più velocemente verso quella che spero sia l'eternità».

In maggio è atteso il suo nuovo romanzo dedicato al commissario Montalbano, la saga noir più popolare d'Italia. Può anticiparci qualcosa?
«In questo momento stiamo ancora decidendo quale sarà il prossimo libro di Montalbano».

Scusi la curiosità. Una volta lei disse di avere passato anni bevendo, ogni mattina, una bottiglia di J&B. Era vero o scherzava?
«Purtroppo era vero, ma di questo non parlo volentieri».

Che messaggio spera di lasciare ai posteri?
«Nessun messaggio. I posteri, semmai continueranno a leggermi, scopriranno il messaggio che vorranno».

Se potesse con un colpo di bacchetta magica cambiare l'Italia, (e la sua classe politica) cosa le piacerebbe fare?
«Non esiste bacchetta magica, se l'Italia fosse come la vorrei io, evidentemente scontenterei molti italiani. Se potessi lanciare un messaggio alla nazione, sarebbe solo quello di non avere paura».
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