Don Peppe Diana 25 anni dopo:
​il ricordo che serve al futuro

Don Peppe Diana 25 anni dopo: il ricordo che serve al futuro
di Claudio Coluzzi
Domenica 17 Marzo 2019, 12:50 - Ultimo agg. 17:01
3 Minuti di Lettura
Don Peppino Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994, mentre si accingeva a dire messa nella sua parrocchia a Casal di Principe, dell'eroe non ha nulla. La sua vita, di uomo e prete, è la testimonianza di una persona normale. Ma quella «normalità» veniva dispiegata con tanti piccoli gesti di legalità quotidiana. In un luogo e in un contesto sociale in cui imperversava la guerra tra i clan Casalesi. I camorristi si uccidevano, senza risparmiare vittime innocenti, e le persone «per bene», schiacciate dall'omertà e dalla paura, si «facevano i fatti loro».
In fondo, se si vuole operare un'estrema sintesi, don Peppino era un Casalese che non si faceva i fatti propri. Non se li faceva quando guidava i sacerdoti della Forania di Casal di Principe a denunciare violenza e prevaricazione e a dire basta ai morti ammazzati. Non se li faceva quando, nella sua parrocchia o nella sua funzione di guida scout, mostrava ai giovani un'alternativa alla «calibro 9x21 con matricola abrasa».

Di tutto questo e molto altro parla Luigi Ferraiuolo, scrupoloso e attento giornalista di Tv 2000, nel suo ultimo libro Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra. Il libro, con la prefazione di Elisabetta Soglio, direttrice di «Corriere Buone Notizie» del «Corriere della Sera» e la postfazione di Antonello Velardi, sindaco di Marcianise e redattore capo centrale de «Il Mattino», racchiude i «fatti» che ruotano intorno alla persona di Don Peppino. Documenti, testimonianze, nomi, descrizioni, tutto viene messo insieme a beneficio di una memoria necessaria a continuare la guerra alla camorra e per la legalità. Perché, paradossalmente, la camorra è più forte quando non se ne parla e tace il clamore delle armi.

Ferraiuolo riporta le parole di Don Peppino e ricorda l'impegno di chi a Casal di Principe e nell'agro aversano si è opposto, senza essere eroe, allo strapotere dei clan. Tra quei nomi ci sono Renato Natale, amico di don Peppino e attualmente sindaco di Casale, Raffaele Sardo, direttore all'epoca di un coraggioso giornale di denuncia, «Lo Spettro». Un politico e un giornalista, ma sono solo alcune delle centinaia di persone che a Casal di Principe e nell'Agro (tutti i nomi non entrerebbero in un libro) hanno reagito di fronte all'orrore dell'uccisione di Don Peppino.
Ferraiuolo «mostra» inoltre l'impegno delle associazioni come la Nuova Cucina Organizzata (Nco) che hanno creato occasioni di speranza e lavoro, o di consorzi come Agrorinasce che ha recuperato decine di beni confiscati alla camorra e li ha trasformati in teatri, piscine, aziende, luoghi per l'assistenza e la cultura della legalità.

L'attuale Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, quando passò dalla Dda napoletana a quella calabrese, ebbe modo di sottolineare come «nel Casertano, a differenza che in Calabria, proprio le associazioni e la società civile hanno permesso allo Stato di infliggere colpi durissimi alla camorra». Negli ultimi 25 anni questa forza di reazione, quella dei casalesi onesti, è partita proprio dalla terra di Don Diana. Quando il giorno del suo assassinio Casale piombò nel silenzio assordante di chi non comprendeva cosa stessa accadendo, fu lo stesso silenzio a segnare la rivolta. «Per amore del mio popolo non tacerò» era il manifesto dei parroci della Forania di Casal di Principe. La silenziosa esposizione ai balconi di uno, due, tre poi centinaia di lenzuola bianche dopo l'assassinio, segnò la svolta. Chi c'era non lo può dimenticare, chi non c'era è utile che lo apprenda anche attraverso questo libro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA