di ​Alessandro Orsini
Venerdì 12 Aprile 2019, 00:07 - Ultimo agg. 10:21
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Il generale Haftar ha attaccato la città di Tripoli senza giustificazioni alla sua scelta. Ha semplicemente dichiarato che il governo di Tripoli è nemico della Libia e ha avviato le operazioni militari. Difficile immaginare un’aggressione più smaccata, tanto più che il governo di Tripoli è nato sotto l’egida delle Nazioni Unite e che, proprio mentre Haftar annunciava l’attacco, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si trovava a Tripoli per un incontro con il premier Sarraj.

Gli Stati Uniti, Guterres e persino la Nato hanno condannato l’attacco di Haftar, che però non si è fermato. E così il governo Conte si è domandato come sia possibile che Haftar continui ad avanzare, nonostante le più grandi potenze del mondo gli chiedano di arretrare. Per ottenere risposta, il governo Conte ha ideato uno stratagemma diplomatico. Dal momento che sono tutti d’accordo sul fatto che Haftar è responsabile di un’aggressione immotivata, l’Italia ha chiesto all’Unione Europea di approvare un documento di aperta condanna contro l’agguerrito generale ed è poi rimasta in attesa di vedere quale Paese avrebbe eventualmente posto un veto. Quel Paese - salvo ripensamenti successivi - è la Francia. 

Salvini è giunto così alla conclusione che Macron sta difendendo Haftar e gli ha fatto sapere che, se la Francia vuole giocare alla guerra, l’Italia non resterà a guardare.

Molti pensano che le parole del vicepremier Matteo Salvini siano figlie di un “temperamento”, ma non è questione di personalità. Nelle parole di Salvini c’è un discorso sullo Stato. Occorre infatti sapere che ogni Paese ha una propria “linea rossa” che non può essere valicata. Gli americani utilizzano l’espressione «interesse strategico vitale» per indicare i comportamenti che gli Stati stranieri devono evitare per non incorrere nella reazione della Casa Bianca. 
La Siria è interesse strategico vitale per la Russia; il controllo delle alture del Golan è interesse strategico vitale per Israele; impedire ai curdi di creare uno Stato nel nord della Siria è interesse strategico vitale per la Turchia ed è interesse strategico vitale dell’Arabia Saudita che l’Iran non acquisisca la bomba atomica. 

Allo stesso modo, Salvini sta chiarendo che la Libia è interesse strategico vitale per l’Italia e questo ci porta all’assedio di Tripoli che, se cadesse, finirebbe sotto il controllo del generale Haftar, a sua volta controllato dalla Francia. Appare evidente, dall’analisi dei combattimenti in corso e delle armi impiegate, che il peso militare ed economico di Haftar è pari a quello di un granello di sabbia. Ne consegue che, una volta conquistata Tripoli, che è addirittura più debole dei suoi assedianti, Haftar non avrebbe alcuna possibilità di governare la Libia in modo libero e indipendente, come invece assicura nei suoi comunicati. 

Tra Haftar e la Francia si verrebbe a creare lo stesso rapporto che esiste tra Putin e Assad, dove il primo assicura al secondo il diritto di poter dire: «Io sono». Questo, almeno nel breve periodo, non sarebbe, per forza di cose, un male per l’Italia, verso cui Haftar sarebbe tutt’altro che ostile. Il bisogno di denaro e di sostegno politico per stabilizzare il suo potere traballante lo renderebbero incline a ogni gesto di riguardo verso Roma. 

Il problema è che la conquista di Tripoli sarebbe un male per la Libia che, con ogni probabilità, non assisterebbe alla fine della guerra civile, ma a una sua prosecuzione con nomi e protagonisti diversi, tanto più che Haftar ha 75 anni: l’inizio della crisi di successione sarebbe questione di ore, non di ere. La politica internazionale è fatta soprattutto di forze oggettive, che sono rappresentate da tutti quegli elementi non modificabili dalla volontà individuale, tra cui figura anche l’età anagrafica. 

Il segretario generale dell’Onu sta chiedendo insistentemente ad Haftar di fermarsi non perché preferisca Roma a Parigi, ma perché sa bene che le poche forze del generale non sono sufficienti a unificare la Libia, semmai a dividerla ulteriormente. In sintesi, ad Haftar mancano i soldi, un buon esercito e anche buoni protettori. aorsini@luiss.it
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