Rivoluzione 5G, la vera frontiera sarà il controllo

Rivoluzione 5G, la vera frontiera sarà il controllo
Rivoluzione 5G, la vera frontiera sarà il controllo
di Andrea Andrei
Mercoledì 17 Aprile 2019, 03:00 - Ultimo agg. 10:59
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Nel 1954 lo studioso tedesco Rolf Strehl pubblicava un libro che a sfogliarlo oggi, sulle prime, fa sorridere. “I robot sono tra noi - Le realizzazioni e le prospettive della cibernetica”, questo il titolo del volume che all’epoca fu pubblicato in Italia da Bompiani e che oggi è materia da collezionisti del genere, si apre con un commento di Strehl che si chiede, con estrema preoccupazione, se la tecnologia e in particolar modo gli automi non stiano per invadere per sempre alcune sfere del vivere, prima fra tutte quella lavorativa.

Si chiede poi Strehl se queste macchine, ormai intelligentissime, non rappresentino una minaccia per l’essere umano. Al contempo lo studioso riconosce a queste macchine delle capacità sorprendenti e prodigiose, ad esempio l’essere in grado di far decollare un aereo, modificarne la rotta in base alle condizioni meteorologiche e addirittura di farlo atterrare in assoluta sicurezza. Ecco, se all’inizio quelle pagine fanno sorridere, proseguendo nello sfoglio si viene presi da un certo straniamento.

I CONTENUTI
Oggi che la tecnologia è parte integrante delle nostre esistenze tanto da essere assolutamente indispensabile (basti pensare cosa accade quando, come domenica scorsa, i principali social network vanno offline) ci ritroviamo a porci le stesse domande e ad assecondare quegli stessi timori. Sappiamo che i software ci permettono di godere di una sicurezza senza precedenti nei voli, eppure quegli stessi software finiscono nel mirino quando si verifica un incidente, come quello dello scorso 10 marzo, quando un Boeing 737 di Ethiopian Airlines decollato da Addis Abeba e diretto a Nairobi è precipitato con 157 persone a bordo. Al punto che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha twittato: «I nuovi aerei sono troppo complessi, meglio quelli vecchi. Non servono più piloti, bensì scienziati informatici del Mit. Si cerca sempre i fare ulteriori e non necessari passi avanti, quando spesso è molto meglio il vecchio e il semplice».

Nella paradossale situazione di dipendenza e al contempo di diffidenza nei confronti dell’innovazione in cui ci troviamo nel 2019, all’avvento dell’arrivo di una tecnologia dirompente come il 5G che darà il via all’utilizzo massiccio dell’intelligenza artificiale, ecco dunque che i nostri timori ricalcano quelli di Strehl di 65 anni fa. Solo che oggi, molto più di allora, nella tecnologia ci viviamo dentro. Non ci si basano solo il nostro lavoro, il nostro intrattenimento, e tutte le comunicazioni su cui si fondano organizzazioni e servizi, ma caratterizza anche i nostri rapporti sociali, che vengono filtrati e per certi versi replicati sui social network generando una sorta di società virtuale e parallela.

A piattaforme come Facebook e Instagram affidiamo i nostri gusti, i nostri ricordi, le nostre inclinazioni, i nostri appunti di vita. Tutti contenuti che, nella spietata sintesi dell’informatica vengono trasformati in dati, che a loro volta vengono ospitati all’interno di server lontani migliaia di chilometri dal luogo in cui viviamo. Alcune delle cose più preziose e personali che abbiamo, insomma, vengono custodite da persone che non conosciamo in posti di cui ignoriamo l’esistenza. La Rete ci ha permesso però al contempo di avere accesso a una quantità di informazioni inquantificabili con assoluta rapidità. Una cosa che ancora di più ci ha spinto a superare la diffidenza, almeno nei fatti, affidandoci sempre di più ai mezzi tecnologici per superare i piccoli grandi problemi della quotidianità.

LA RICCHEZZA
È così che le aziende private che si sono trovate a gestire questi dati si sono accorte di quanto fossero preziosi e ambiti. È così che queste aziende hanno cominciato a venderli e si sono arricchite, diventando potentissime, in cambio dei servizi che offrivano, solo in apparenza, gratuitamente. Ed è così che la situazione è sfuggita di mano, quando Facebook si è trasformato in una sconfinata piazza virtuale e anarchica, in cui gli schemi, le gerarchie e le competenze sono saltate generando un caos difficilmente arginabile senza il rischio di limitare la sacrosanta libertà d’espressione. Per questo, dopo una serie di scandali, da quello di Cambridge Analytica al Russiagate, sono stati gli stessi creatori di questo meccanismo ad alzare bandiera bianca. Così ha fatto il fondatore e ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, che ha messo addirittura nero su bianco un appello ai governi per chiedere loro delle regole da far applicare agli utenti delle sue piattaforme.

LA PARABOLA
Una parabola curiosa: proprio il simbolo del sovvertimento delle regole, proprio quelle reti sociali che hanno introdotto il concetto del “basso verso l’alto” che oggi tutto influenza, dalla politica all’economia, proprio loro chiedono alle rigide istituzioni di aiutarli. Loro, che quelle istituzioni hanno mandato in crisi. I social network sono solo la conseguenza più evidente portata dall’accelerazione del progresso tecnologico, che ha generato un surplus di tecnologia in praticamente tutti i campi. Per cui, dal bisogno di innovazione, siamo passati al bisogno di gestire questi strumenti, di incanalarli.

È questa la vera sfida che ci attende, proprio mentre siamo alle porte del lancio delle reti di quinta generazione: sfruttare la tecnologia per ciò che è, cioè la massima espressione dell’ingegno umano, e sfruttarla per il bene di tutti. Lo stiamo già facendo, almeno nel campo della salute, dove l’innovazione tecnologica (anche quella di massa, vedi l’elettrocardiogramma montato sugli Apple Watch i cui risultati possono essere condivisi in tempo reale con il proprio medico) può davvero aiutarci a migliorare la nostra qualità della vita e quella delle generazioni future. è l’unico modo che abbiamo per renderci davvero conto di quanto i timori che Strehl aveva nel ’54 fossero infondati.
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