Se Di Maio-Salvini è coppia scoppiata

di Bruno Vespa
Sabato 20 Aprile 2019, 09:48
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Quanto può durare il matrimonio tra due coniugi che si accusano pubblicamente di tradimento? Giorgetti ha telefonato a Berlusconi dicendo che sta saltando tutto, sostengono i 5 Stelle. Non è vero, risponde la Lega. Sono loro piuttosto che flirtano con il Pd. Ancora: Salvini vuol far saltare il governo. Ma quando mai?, rispondono i leghisti. I grillini accusano gli alleati di attaccare la Raggi per distrarre l’attenzione da Siri. I leghisti rispondono bocciando i nuovi fondi per Roma e ricordano che Toninelli ha tolto le deleghe a Siri, il suo sottosegretario accusato di corruzione, senza avvertire l’alleato vice presidente del Consiglio che ha appreso la notizia dalle agenzie di stampa. E’ questo, finora, il punto più alto di scontro tra i due partiti, mai avvenuto nella storia repubblicana. Craxi e De Mita non si amavano e non si prendevano: avevano caratteri e visioni diverse. Ma nel 1987 la crisi di governo che portò alla fine del quadriennio socialista a palazzo Chigi fu annunciata con un “approfondito chiarimento tra le forze politiche”. C’era tra i due una formidabile lotta per il potere: ma si giocava su sfumature elevate, anche se comunisti e missini presentavano mozioni di sfiducia.

Se Craxi voleva provocare Spadolini gli mandava i discorsi filosocialisti di Mazzini. Se De Mita voleva offendere liberali e socialdemocratici gli diceva sorridendo che ormai erano la stessa cosa. Tanto valeva che Craxi, che regalava a ogni leader monete delle antiche repubbliche italiane, ne risparmiasse una… 
Oggi Salvini e Di Maio, il Castore e il Polluce inseparabili del governo, non si parlano nemmeno più. Ognuno invade il campo dell’altro, ogni vice presidente del Consiglio si comporta da presidente del Consiglio. Ognuno cerca di acquisire titoli per un futuro che a questo punto non è facile immaginare comune.

Di Maio non vuole sentirsi schiacciato dalla Lega, la Lega non vuole compromettere il vantaggio di credibilità acquisito sul territorio e premiato nell’ultimo anno dalle vittorie consecutive in sei elezioni regionali. Sta espandendosi al centrosud dove i 5 Stelle erano più forti, ma non vuole perdere i consensi del Nord dove il mondo industriale rumoreggia per una politica economica che non ama.

Di Maio ha recuperato terreno tra i suoi, Salvini è circondato da uomini di governo che – ormai senza eccezione – gli chiedono quando staccherà la spina. Il leader risponde che non vuole essere lui a farlo e che l’opinione pubblica non sopporta le liti tra alleati di governo. Ma in privato non se la sente di ripetere quello che dice in pubblico: governeremo per quattro anni (ieri gli è scappato un lapsus: il governo durerà quattro mesi. Ma era un lapsus?). Tutti sanno che dopo il 26 maggio qualcosa accadrà. Anche se volesse per ipotesi allearsi con i 5 Stelle, Zingaretti non potrebbe farlo perché i gruppi parlamentari non lo seguirebbero. E allora, prima o poi, si tornerà alle elezioni generali. A meno che le reazioni alla decisione leghista di bloccare i finanziamenti per il comune di Roma e all’assunzione nell’ufficio del sottosegretario Giorgetti a palazzo Chigi del figlio di Paolo Arata, indagato con Siri, non facciamo saltare il banco addirittura prima.
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