Le celle-carnaio e il vuoto ​mantra della galera

di Antonio Mattone
Giovedì 9 Maggio 2019, 09:55 - Ultimo agg. 10 Maggio, 09:14
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Come una bomba a orologeria, dopo la sparatoria di piazza Nazionale e il ferimento della piccola Noemi che ha suscitato grande commozione in tutto il Paese, la dichiarazione esplosiva di Matteo Salvini non si è fatta attendere. «In giro per Napoli ci sono liberi oggi non alcune centinaia, ma parecchie migliaia di condannati in via definitiva che non sono in carcere ma a spasso», ha detto il ministro degli Interni. Per assicurare queste persone alla giustizia il Viminale ha emanato la misura denominata «spazza clan», che prevede ottocento assunzioni straordinarie per dare la caccia ai condannati in via definitiva che restano liberi per le lentezze della burocrazia.

Si parla di una spesa di 25 milioni di euro spalmati su due anni. «La prevenzione e la repressione funzionano ma manca la fase finale. Per me contano i fatti, le chiacchiere le lascio agli altri», ha continuato il leader della Lega. Ma proprio per attenersi ai fatti, manca un tassello fondamentale: in quale carcere rinchiudere queste persone visto che a Poggioreale ci sono quasi 2400 detenuti (800 oltre la capienza prevista), e in tutta Italia 10mila carcerati in più della soglia regolamentare?

Queste cifre mettono a nudo l’emergenza dei sistemi giustizia e carcere che devono andare di pari passo se vogliamo aspirare ad essere un Paese civile. Non si può chiedere applicazione della giustizia e chiudere un occhio sulla legalità delle condizioni di detenzione. E se solo oggi si tirano fuori i numeri delle mancate esecuzioni delle sentenze, dati peraltro già noti come ha ricordato il presidente della Corte di Appello di Napoli Giuseppe De Carolis, bisogna dire che delle carceri in Italia non se ne parla più.

Il governo gialloverde dopo aver bocciato i cardini fondamentali della Riforma proposta dall’esecutivo della passata legislatura - che dobbiamo ricordare non ha avuto il coraggio di approvarla pur avendone i numeri sufficienti - ha inasprito il ricorso al carcere. Come la legge “spazzacorrotti” che prevede l’applicazione del regime carcerario, senza sospensione dell’esecuzione della pena, anche per reati per i quali la normativa vigente all’epoca del processo consentiva la concessione di misure alternative.
E se la sicurezza è il mantra che Salvini porta avanti in ogni campagna elettorale, come pensa di rendere effettivamente più sicura la nostra società, comprimendo di esseri umani le galere? O forse costruendo nuovi istituti di pena? Il carcere duro non cambia le persone, le rende più incallite e maggiormente connesse con il circuito criminale. Solo migliorando la quotidianità detentiva e ricorrendo a misure alternative si può diminuire la recidiva.

Così come si deve aver presente che la costruzione di un nuovo penitenziario di 200-250 posti, richiede una spesa di che va dai 25 ai 35 milioni di euro, a cui bisogna aggiungere il costo necessario per il personale.
Il sistema carcerario sta vivendo un momento difficile non solo per il sovraffollamento. Carenze negli organici, sia nel comparto sicurezza che per gli educatori, aggressioni tra i detenuti e agli agenti, aumento dei suicidi, difficoltà per le cure sanitarie, insufficienze della psichiatria sono le criticità su cui è caduto un silenzio tombale.
Pochi giorni fa un ragazzo che stava scontando la pena ai domiciliari senza commettere alcuna infrazione, ha avuto la sentenza definitiva ed è tornato a Poggioreale. Eppure se gli fossero stati concessi i giorni di sconto di pena per buona condotta sarebbe dovuto già essere libero da mesi, ma il magistrato di sorveglianza ha ritenuto di farlo tornare in carcere, magari per pochi giorni, interrompendo così in modo brusco e traumatico il processo di reinserimento che stava portando avanti. Eppure non è un criminale incallito, ma la legge non riesce a ponderare le differenti situazioni, obbedisce al diktat del momento: più carcere, più sicurezza.

La mancata notifica di migliaia di sentenze a Napoli come in tutta Italia è certamente una emergenza, che va affrontata. Tuttavia bisogna anche prevedere una detenzione umana degna di un Paese civile e aver presente che per la nostra Costituzione il carcere non è l’unico modo di espiare la pena. E, infine, ricordare al ministro Salvini che la fase finale di un processo di giustizia non è rinchiudere i criminali in cella, ma restituirli alla vita sociale migliori e cambiati. 
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