Africa senza tribù né tabù

Africa senza tribù né tabù
Venerdì 24 Maggio 2019, 13:56
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Era l’Africa che aveva scavalcato gli stereotipi, raccontandosi senza mediazioni né indulgenze; era l’Africa che oltrepassava il colonialismo e il post-colonialismo, fuori dalle raccolte fondi, dal circo della Savana, dall’indulgenza di Hollywood, dai mitra e dalla polvere e dalla fame, era l’Africa capace di sfanculare Madonna, e dire: Stiamo bene così e ce la caviamo da soli; era l’Africa che non aveva paura di dirsi gay e nemmeno di andare contro tutte le chiese che tradiscono l’amore che predicano, capace di giocare con l’odio, di irridere il potere e le leggi assurde che ancora genera; era l’Africa senza confini, tribù e tabù; era l’Africa che rideva e che faceva progetti a Nairobi convinta che potesse essere New York; era l’Africa che si colorava i capelli di blu e li esibiva con superiorità; era l’Africa che scriveva un romanzo – “Un giorno scriverò di questo posto” (66thand2nd) – che allacciava generi e lasciava stupore, era l’Africa in fiamme, sì, fiamme d’immaginazione e mille soli senza mai piangere sotto nessuno di questi; era l’Africa fuori dall’unica dimensione che le era stata affidata, e che aveva irriso in un pezzone che ancora oggi è insuperato – “How to write about Africa” –; era tutto questo e moltissimo altro ancora, Binyavanga Wainaina, e non smetterà di esserlo.
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