Usa, lo spettro Clinton-Sanders: si avvicinano i dibattiti Dem, e già i candidati polemizzano

Usa, lo spettro Clinton-Sanders: si avvicinano i dibattiti Dem, e già i candidati polemizzano
di Anna Guaita
Domenica 2 Giugno 2019, 19:18 - Ultimo agg. 3 Giugno, 10:08
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NEW YORK – Mancano ancora tre settimane al primo dibattito fra i candidati alla nomination del partito democratico per le presidenziali del novembre 2020, e già ci sono polemiche. Sebbene il Comitato del Partito abbia cercato di organizzare i dibattiti nel modo più aperto e accessibile per tutti, nessuno aveva previsto che potessero esserci ben 24 concorrenti. Sistemarne tanti su un palco è impossibile, e quindi i primi due dibattiti saranno divisi in due serate consecutive: il 26 e il 27 giugno, e il 30 e il 31 di luglio. Ma anche così, non tutti troveranno posto, poiché il palco può ospitare solo dieci persone, il che vuol dire che pur spezzato in due serate diverse, il dibattito ospiterà solo 20 dei 24 attualmente in corsa.

Le condizioni per essere ammessi sul palco sono per questi primi due appuntamenti alquanto modeste: basta che un candidato registri un tasso di approvazione almeno dell’1 per cento in tre sondaggi di livello nazionale, o – in alternativa - che abbia raccolto finanziamenti da almeno 65 mila donatori in 20 diversi Stati. Il guaio è che per ora solo 19 dei 24 hanno superato una o tutte e due le condizioni necessarie. Non si conoscono i nomi dei cinque che arrancano, ma almeno due lo hanno ammesso apertamente e difatti stanno già protestando: il senatore del Colorado Michael Bennett e l’ex deputato del Maryland John Delaney. Inoltre una lettera di raccolta fondi  dai toni alquanto disperati della senatrice di New York Kirsten Gillibrand, fa sospettare che anche lei sia un fanalino di coda. (QUI potete trovare la lista dei candidati)

Il Comitato del Partito ha tentato di organizzare i primi dibattiti in modo il più possibile accessibile, proprio allo scopo di evitare questo tipo di polemiche. E difatti ha annunciato le condizioni ben sei mesi fa, e allora nessuno ebbe nulla a ridire. La memoria dei battibecchi fra Bernie Sanders e Hillary Clinton, sul numero troppo limitato di appuntamenti, e le conseguenze divisive che quelle polemiche ebbero, hanno spinto il presidente del partito, Tom Perez, a organizzare tutto in grandissimo anticipo, e a prevedere la bellezza di 12 dibattiti. Ma anche guardando al terzo, che si terrà a settembre, le proteste si fanno già sentire. Se i primi due sono facili e accessibili, il terzo richiederà una restrizione delle condizioni, e i candidati dovranno raggiungere almeno il 2 per cento di approvazione in 4 sondaggi nazionali e dovranno aver raccolto donazioni da almeno 130 mila persone in 20 diversi Stati.

I candidati protestano, ma il partito deve dal canto suo arrivare all’autunno restringendo il campo, ben sapendo che dall’altra parte hanno un carro armato, Donald Trump, che sta già marciando come una falciatrice nella raccolta dei fondi. Il rischio di frantumare l’attenzione degli elettori fra una ventina di diversi candidati, nonché frantumare i finanziatori, è un rischio serio, e da qui scaturisce la necessità di far sì che i dibattiti diventino un imbuto che riduce la folla e concentra l’attenzione del pubblico su un numero sempre più ridotto di “papabili”.

Le polemiche sono inevitabili quando a correre è un numero record di candidati. Bisognerà vedere se questa volta il Democratic National Committee, guidato da Tom Perez, l’uomo scelto da Barack Obama, sarà più capace di avere una mano lieve nel guidare le elezioni di quanto non la ebbe nel 2016.



 

 

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