Fca, saltate le nozze con Renault c'è il rischio spezzatino

Fca, saltate le nozze con Renault c'è il rischio spezzatino
di Francesco Pacifico
Sabato 8 Giugno 2019, 07:30 - Ultimo agg. 17:48
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Bloomberg - con humor caustico tipicamente anglosassone - ha classificato le nozze tra FiatChrysler e Renault come il matrimonio tra due disperati. Una produzione complessiva intorno ai 9 milioni di auto (senza considerare l'apporto di Mitsubishi e Nissan), perdite sostanziali nei ricavi come quelle registrate nel primo trimestre (del 4,5 per cento per i francesi, del 5 per gli italiani), con i transalpini fuori dal mercato dell'alta gamma e il Lingotto privo di nuovi modelli e in forte ritardo sulle motorizzazioni elettriche e sull'ibrido. Tanto che lo storico Giuseppe Berta, uno dei pochi che conosce tutto di casa Fiat e della galassia Agnelli, sentenzia che «per John Elkann sarà molto difficile trovare un'alternativa a Renault. A meno che si guardi a uno spezzatino, vendendo da una parte i marchi americani e dall'altro quelli italiani».
 
Già dal 2010 - cioè dalla metà del suo mandato e prima della fusione con Chrysler - gli Elkann e i mille rivoli della famiglia Agnelli diedero mandato all'ex amministratore delegato Sergio Marchionne di trovare un compratore per Fiat. Ma tutte le ipotesi studiate dal manager con il pullover nero - la vendita in blocco, la fusione con diluizione in una realtà più grandi o lo spin off magari creando un polo del lusso - sono andate fallite. E questo fa comprendere perché l'accordo con concambio azionario alla pari con Renault era un'occasione che gli eredi dell'avvocato, da tempo interessati più alla finanza che all'industria, non volevano lasciarsi scappare.

Va detto che il dossier con Parigi, al netto dei dubbi del governo francese, non è affatto chiuso. Anche se le trattative ripartiranno su basi diverse. Fatto sta che Fiat Chrysler difficilmente riuscirà a continuare a operare stand alone. Comunque dovrà cercare un'alternativa a Renault. Tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 gli Elkann hanno molto discusso con Carlos Tavares, presidente di Psa, da tempo interessata ad allargarsi in America e con la quale il Lingotto già costruisce veicoli commerciali. L'operazione non è andata avanti perché i francesi considerano sopravvalutata la capitalizzazione di Fca, che è intorno ai 20 miliardi di euro, considerando sia il numero di immatricolazioni (oltre 4,8 milioni) sia il fatto che nuovi modelli Torino e Detroit non saranno pronti prima dell'anno prossimo. Nelle scorse settimana è girata la voce che lo stesso Tavares avesse consigliato alla sua prima linea di aspettare i dati di fine anno per capire quanto si può investire nella conquista di FiatChryler.

Secondo Giuseppe Berta, «il Lingotto, al di là della decisione dell'azionista di fare un passo indietro, è poco appetibile perché necessita di grandi investimenti sui nuovi modelli, che mancano da anni, e dal fatto che ai vertici dell'azienda ci sono tre teste John Elkann, Mike Manley e Richard Palmer che si muovono in direzione opposta». E così è difficile trovare una via di uscita.

Sempre restando all'Europa, in passato si è vociferato di un interesse di Volkswagen per l'Italia. Ma i tedeschi - per completare la propria offerta di gamma - hanno mostrato interesse soltanto per un marchio come Alfa Romeo e in piccola parte per Maserati, convinti di poterli rilanciare come hanno fatto con Lamborghini e Ducati. Di conseguenza gli Elkann - che si sono già sbarazzati di Magneti Marelli pagandosi anche un dividendo straordinario da 1,6 miliardi di euro - devono guardare all'America e all'Asia. Tenendo conto che i brand d'eccellenza in termini di vendita - Jeep e i pick up di Ram - sono allo stesso tempo un richiamo quanto un freno.

Nell'era di Donald Trump la Casa bianca ha lanciato una guerra contro l'Europa per riequilibrare i dazi all'auto e promette forti sgravi a chi viene a costruire macchine in America. Senza contare che la guerra commerciale in atto con Pechino ha di fatto messo fuori legge negli Usa gli investimenti cinesi. Così per gli Elkann è difficile trovare compratori nell'ex Impero di Mezzo, dove alcuni colossi locali - Geely, Chery o Great Wall Motor - potrebbero a essere interessati sia a mettere le mani su Jeep sia a entrare nel mercato europeo da una porta importante come l'Italia.

Al tavolo delle trattative con Renault a mettere paletti ci sarebbe stata anche Nissan, l'azionista dei transalpini: la quale, già presente in America con Mitsubishi, teme che comprando Jeep debba fare i conti con l'Antitrust Usa.

Nella lista dei potenziali acquirenti resterebbe infine Hyunday, che però si sarebbe vista chiudere la porta, quando bussò al Lingotto con un'offerta tra i 15 e i 18 miliardi. «Per questo - conclude amaro Berta - è più facile che Elkann finisca per fare uno spezzatino: vedendo Jeep e Ram in America e il resto dei marchi ai cinesi. E più passa il tempo e meno può chiedere».

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