Quei fischi allo stadio ci riportano a Ciao Darwin

di Francesco Durante
Venerdì 5 Luglio 2019, 08:00
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L'arena politica assomiglia sempre più a una puntata di «Ciao Darwin». Oppure - e nel nostro caso più precisamente - a una curva da stadio. E infatti uno stadio, il rinnovato San Paolo di Napoli, in gran spolvero per la cerimonia inaugurale delle Universiadi, si è fatto sentire in diretta eurovisiva con le bordate di fischi che una sparuta ma evidentemente agguerrita minoranza (regolarmente sormontata dopo pochi attimi, bisogna dire, dagli applausi della stragrande maggioranza del pubblico) ha inteso riservare all'Inno di Mameli, al sindaco de Magistris, al governatore De Luca e alle delegazioni degli atleti di Francia e Germania. Non è stata una bella cosa, anzi: è stata una nota decisamente stonata, un gesto incivile e imbecille. Ma forse è il caso di cercare di darsene conto. Per quanto riguarda il sindaco e il governatore, la risposta è facile: trattasi di «politici», e in quanto tali il branco li fischia. Non importa di che partito siano, che idee propugnino, che cosa abbiano fatto o non fatto: sono la Casta, bisogna fischiarli. In definitiva, quei fischi sono una tipica espressione di lazzaronismo che ha uno speculare reciproco nel baciamano, nel bacio della pantofola, nell'esibito scappellamento che di sicuro i medesimi fischiatori avrebbero tributato all'odiato politico qualora si fossero trovati a tu per tu con lui, pronti a compiegargli una qualche supplica, e non nascosti nella turba indistinta dello stadio. Fischi miserevoli, quindi, e purtroppo preventivabili. Diverso è il caso dei fischi all'Inno di Mameli. Come interpretarli?

Jacquerie neoborbonica? Può essere, per quanto possa parere un’ipotesi troppo sofisticata. O un caso di nichilismo straccione, e il sintomo di una oggettiva arretratezza che è prima di tutto culturale? Comunque, una pessima figura ottenuta col più penoso dei mezzi a disposizione, e una circostanza che va ripetendosi da troppo tempo, guarda un po’ sempre allo stadio, e con particolare accanimento da parte di certi ultras del Napoli. Girando su internet, mi è capitato di trovare il post di un gruppo fascio-monarchico che si chiama Identità Insorgenti, dove si incitavano i tifosi a fischiare l’inno di Mameli in occasione della finale di Coppa Italia 2014. In quel delirante messaggio si precisa che i fischi non sarebbero stati rivolti contro Alessandra Amoroso, la «brava cantante salentina» incaricata di cantare l’inno, ma proprio all’Inno in sé, in quanto prodotto della propaganda massonica che ha imposto al Sud una nazione «inesistente».

Su altri siti consimili ho trovato affermazioni del pari stupefacenti, e tra le altre quella secondo cui è sempre bene fischiare l’Inno di Mameli, ma non bisogna fischiare gli inni di nazioni straniere. Stavolta, però, si è venuti meno a questo proposito, con i fischi ai francesi e ai tedeschi (ai primi un po’ di più). Bisogna dire che la folta delegazione francese è sembrata non accorgersene: gli atleti e le atlete, belli e allegri, hanno continuato a far festa, e dopo pochi attimi sono stati essi stessi oggetto della rumorosa simpatia della parte sana dello stadio, che fortunatamente sovrastava di molto quella più ottusa. Quanto ai tedeschi, nemmeno loro sono sembrati accorgersi dei fischi e sono andati avanti come se nulla fosse accaduto. Resta da chiedersi perché si siano fischiati gli atleti di questi due Paesi, e qui le ipotesi debbono per forza di cose prendere in considerazione motivazioni almeno vagamente politiche. In buona sostanza, la Francia si fischia perché così si fa uno sberleffo a Macron e al supercilioso complesso di superiorità dei transalpini sempre pronti a umiliare la sorella latina. E la Germania si fischia perché comanda in Europa e c’impone le sue regole, il suo rigore, la sua ossessione per i bilanci.

E, dunque, chi è che ha fischiato francesi e tedeschi? Una pattuglia di gilet gialli in trasferta? Un manipolo di leghisti immaginari, di quelli che hanno definitivamente archiviato nelle latebre della loro memoria corta la celebre rima cani/napoletani? Un commando di impavidi hater della capitana Carola Rackete? Una rappresentanza di sovranisti dell’Est affiliati al cartello di Visegrad? O soltanto una paranza di gaglioffi senz’arte né parte? Si vorrebbe propendere per quest’ultima teoria, la più probabile quando si tratta di intemperanze da stadio. Come si dice, la mamma dei cretini è sempre incinta, e succede anche a Napoli. Poi, però, si vede che il tono adottato dai pochi incivili del San Paolo tracima anche verso i livelli istituzionali, e che il ministro dell’Interno non perde l’occasione per sbeffeggiare il sindaco di Napoli attraverso i social. A quel punto si capisce che tutto si tiene, che non c’è alcuna distanza tra i palazzi del potere e gli umori dello stadio: siamo veramente tutti dentro «Ciao Darwin». Per finire in gloria, lo dimostra pure l’ovazione riservata dal San Paolo alla bellissima atleta rappresentante del regno di Eswatini, ex Swaziland, che certamente sarà anche extracomunitaria, ma è pur sempre una gran sventola.
 
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