Il peso ambientale dei bitcoin: inquinano più dello Sri Lanka

Il peso ambientale dei bitcoin: inquinano più dello Sri Lanka
Il peso ambientale dei bitcoin: inquinano più dello Sri Lanka
di Giovambattista Palumbo*
Lunedì 15 Luglio 2019, 00:00 - Ultimo agg. 12:03
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Pochi sanno che le emissioni di carbonio generate dai bitcoin sono paragonabili a quelle di Kansas City, o addirittura a quelle di una piccola nazione. E poiché la potenza di calcolo necessaria per “estrarre” bitcoin (il cosiddetto mining) è più che quadruplicata rispetto allo scorso anno, il problema sta peggiorando. Con un’emissione annua di CO2 stimata tra 22 e 22,9 megatoni, Bitcoin si colloca tra la Giordania e lo Sri Lanka e questo senza considerare tutte le altre criptovalute esistenti (più di 1500!). 

Basti del resto pensare che è stato calcolato che per estrarre 1$ di bitcoin serve una quantità d’energia quattro volte superiore a quella richiesta per 1$ di rame e il doppio rispetto a 1$ di oro. Insomma, un problema da non sottovalutare. Così come quello più in generale dell’inquinamento da tecnologia digitale. Un inquinamento “invisibile” e proprio per questo ancor più pericoloso. Tre e-mail generano infatti la stessa CO2 prodotta percorrendo un chilometro in auto. E controllando le mie mail degli ultimi giorni, ho visto che sono su una media di 30 mail al giorno. Il che vuol dire che solo io inquino come se ogni giorno percorressi 10 chilometri in auto (oltre a quelli che già faccio davvero).

Moltiplichiamo questi dati per tutti quelli che hanno un pc e usano la mail e il “problema” Tav sembrerà una barzelletta. Un server, peraltro, produce ogni anno da una a 5 tonnellate di CO2 e sul 100% di emissioni totali in Europa (che comprendono allevamenti intensivi, riscaldamenti civili ed industriali, aviazione, trasporto su gomma, raffinerie e acciaierie) la quota di maggioranza relativa (6%) spetta ai Data Center. 

Questo, al di là del tema ambientale, conferma inoltre, ancor di più, la necessità che anche l’economia digitale paghi il suo (giusto) contributo alle casse erariali. Quanto meno per compensare le esternalità negative che produce, secondo il noto principio del “chi inquina paga”. I costi ambientali calcolati in relazione alle emissioni nocive (gas serra, inquinanti etc.) ammontano del resto a circa 50 miliardi di euro. E la tassazione di tali fattori, oltre a fornire maggiori entrate, porterebbe senz’altro impatti positivi sia sull’ambiente che sulla salute. Insistere però, in questo momento, su norme di imposizione indiretta (quale, per esempio, le accise) comporterebbe un aggravio generale sulla collettività, sulla quale, senza distinzione di reddito, l’imposta si scaricherebbe (per esempio in termini di aumento dei costi della benzina, etc.). 

Si dovrebbe dunque semmai pensare a forme di imposizione diretta, utilizzando parametri di riferimento, già adottati anche a livello Ue, di misurazione dell’intensità carbonica per unità di prodotto, ed applicando sulla quota di profitti derivanti dalla produzione e/o vendita di tali prodotti, un’aliquota Ires addizionale rispetto a quella ordinaria. Un’imposta, quindi, che colpisca non direttamente l’attività che dà origine all’emissione di sostanze inquinanti, ma “l’effetto” economico dell’attività e cioè il profitto derivante dalla produzione o vendita del prodotto inquinante, che il produttore o il venditore ottiene a scapito della collettività. 

La leva fiscale dovrebbe essere quindi usata anche per fini ambientali. A livello internazionale sono peraltro numerosi i Paesi che hanno introdotto sistemi di tassazione del carbonio: dal Cile al Messico, agli Stati Uniti. E, in Canada, la Columbia britannica, già dal 2008, ha introdotto una carbon tax sulle risorse energetiche che emettono biossido di carbonio, che ha incentivato anche nuove soluzioni industriali, con una riduzione di almeno il 5,5% di gas nocivi e un aumento dei posti di lavoro nella cosiddetta economia pulita. 
E ciò che è interessante di quel sistema è inoltre il fatto che è progettato per essere neutrale dal punto di vista delle entrate fiscali, nel senso che le risorse incamerate attraverso la carbon tax vengono poi restituite alla collettività attraverso agevolazioni fiscali e crediti d’imposta.
* Direttore Osservatorio politiche fiscali
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