Muore in carcere fra atroci sofferenze per un tumore, il permesso per la liberazione arriva il giorno dopo

Muore in carcere fra atroci sofferenze per un tumore, il permesso per la liberazione arriva il giorno dopo
Muore in carcere fra atroci sofferenze per un tumore, il permesso per la liberazione arriva il giorno dopo
Martedì 30 Luglio 2019, 20:30 - Ultimo agg. 31 Luglio, 10:07
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«Voglio morire, voglio morire» implorava il detenuto con i polsi legati al letto per evitare che si strappasse le flebo. Giorgio C. 58 anni, condannato per rapina, soffriva duramente per effetto di un tumore ai polmoni ed è in questo stato di devastante dolore che è morto in carcere quando invece aveva chiesto, insieme al suo avvocato, di passare le ultime ore di vita fuori dal penitenziario di Opera, a Milano. E come capita spesso in queste storie di disperazione  e solitudine, il via libera alla scarcerazione per gravissimi motivi di salute è beffardamente arrivato subito dopo la scomparsa di questo uomo stritolato dalla sofferenza e della burocrazia.

Cinque giorni fa l'uomo aveva chiesto alla Corte d'Appello di Milano «che con un ultimo gesto di umanità e clemenza gli fosse concesso di morire da uomo libero» e quindi di revocargli la misura cautelare che lo aveva portato in carcere per rapina nell'aprile dell'anno scorso.

Ma ieri, quando è arrivato il parere favorevole della Procura Generale per la sostituzione del provvedimento con l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, era ormai troppo tardi. L'uomo, con un tumore ai polmoni allo stadio finale e che si era esteso anche alle ossa, è morto dopo atroci dolori in un letto di rianimazione dell'ospedale San Paolo ancora da detenuto. A denunciare la vicenda di Giorgio C., in una lettera inviata tra gli altri al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, e al capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini, è stato il suo avvocato, Francesca Brocchi, precisando che l'uomo, 58 anni, con una condanna a 5 anni e 8 mesi in primo grado, «non aveva nessuno, eccetto il proprio difensore».

Nella missiva, indirizzata anche al Provveditore Regionale alle Carceri Pietro Buffa, al Difensore Civico lombardo Carlo Lio, all'assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera e al presidente della Commissione Carceri del Comune di Milano, Anita Pirovano, il legale chiede «di approfondire se vi siano state violazioni dei suoi diritti di detenuto e di malato, anche a causa del ritardo nella diagnosi della patologia oncologica che lo ha colpito, ovvero nel ritardo/omissione delle doverose comunicazioni all'Autorità Giudiziaria competente per la misura cautelare ed al difensore» da parte della casa di Reclusione di Opera dove era in cella dallo scorso novembre. In cinque pagine l'avvocato ripercorre la cronistoria dell«odisseà vissuta dal suo assistito e sulla quale il provveditore Regionale, da quanto è stato riferito, ha aperto un'indagine interna.



Nella missiva il legale fa una cronistoria della vicenda che parte dal dicembre 2018 quando il 58enne, oltre a tosse e difficoltà respiratorie, accusa «dolore persistente al polmone sinistro». Il 12 aprile, una radiografia al torace evidenzia la presenza di liquido nella cavità toracica e il conseguente «collasso del polmone sinistro». Viene ricoverato d'urgenza al Fatebenefratelli. Due settimane dopo, la scoperta della «presenza di cellule tumorali maligne», le dimissioni dall'ospedale e il ritorno in cella in attesa di una «Tac-Pet» per confermare la diagnosi.

Accertamento che, programmato per il 2 maggio successivo, per un disguido, viene effettuato 25 giorni dopo. Nel frattempo il legale deposita alla Corte d'Appello, la terza sezione penale, la prima istanza per valutare la compatibilità con il carcere e ottenere la sostituzione della misura cautelare con obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, per consentirgli di potersi curare.

Da questo momento il caso finisce negli ingranaggi della burocrazia. Con il carcere di Opera, come si evince dalla missiva, che nonostante i solleciti, fatica a inviare le relazioni sullo stato di salute dell'uomo. Con i giudici che in assenza delle relazioni non possono decidere sulle ripetute richieste.

Come si legge nella lettera denuncia, già protocollata dal provveditorato regionale alle carceri, ai primi di giugno il ricovero nel Centro Clinico sempre di Opera e il 12 giugno, dietro l'autorizzazione dei magistrati, all'ospedale San Paolo per la biopsia, alla quale avrebbero dovuto seguire intervento chirurgico e cure. Nulla da fare. Le sue condizioni peggiorano, ha metastasi alle ossa, non si regge in piedi o quasi, «ha forti dolori al costato ed ha un drenaggio al polmone».

Tant'è che il legale reitera la richiesta di scarcerazione, ma la Corte d'Appello non può ancora provvedere per mancanza della documentazione clinica. Il 15 luglio viene dimesso con una diagnosi che non lascia scampo, ma tre giorni dopo viene di nuovo ricoverato nello stesso ospedale per poi essere trasferito nel reparto di rianimazione.

Di ciò «nessuna comunicazione risulta essere inviata all'Autorità Giudiziaria, tanto meno al difensore». Mentre la procura generale dà il via libera agli arresti domiciliari in un Hospice, il suo stato di salute di giorno in giorno è sempre più critico. Il 26 luglio, sempre in terapia intensiva, «Giorgio, con i polsi legati al letto» per evitare si potesse togliere tubi e tubicini, «intubato e tenuto in vita dalla respirazione assistita», e con ancora il «drenaggio toracico», riesce solo a pronunciare, con il labiale, poche parole mute «voglio morire, voglio morire».

La sua sofferenza è «indicibile».
Il suo legale gli promette «che avrebbe continuato a battersi per lui, per fare in modo che potesse morire da uomo libero». Ieri il parere positivo del Pg: revocare la misura cautelare e disporre l'obbligo di firma mentre dalla casa circondariale quattro giorni prima avrebbe chiesto ai giudici di interrompere il piantonamento. Troppo tardi.
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