Giustizia e Ue, la miccia di Salvini

Giustizia e Ue, la miccia di Salvini
di Simone Canettieri e Marco Conti
Venerdì 2 Agosto 2019, 00:07 - Ultimo agg. 10:33
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ROMA “Salvo intese”, che non si troveranno mai. Il giorno dopo lo stop leghista alla riforma della giustizia, a palazzo Chigi si raccolgono i cocci di una maggioranza che non c’è più, con due alleati, o ex, che continuano nel gioco del cerino. Malgrado il Guardasigilli ieri sera sia tornato a palazzo Chigi portando a Conte «nuove modifiche», dalla Lega continuano a filtrare umore molti negativi anche se si cerca di tenere la porta del dialogo aperta per non far passare le critiche per pretesti.

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IL MOTIVO
Il governo è in bilico ormai da settimane e probabilmente pronto ad implodere con la manovra di bilancio dell’autunno, ma Salvini non sembra disposto a concedere all’alleato nemmeno la possibilità di issare la bandiera di una legge delega sulla giustizia - approvata ma decaduta per la fine anticipata della legislatura - che potrebbe diventare non solo il cavallo di battaglia pentastellato della campagna elettorale di primavera, ma anche motivo di accusa contro la Lega mai del tutto de-berlusconizzata, come sostiene Alfonso Bonafede. Malgrado Conte si dica pronto a tentare una nuova mediazione, i margini sono pressocchè inesistenti e la riforma della giustizia si avvia sul binario morto dove farà compagnia all’autonomia regionale. Tensioni fortissime ma non destinate a provocare strappi nell’immediato perché il M5S continua a temere il voto anticipato, e la Lega vuole incassare il decreto sicurezza che martedì si voterà al Senato. La foto che Di Maio posta sui social, abbracciato ai ministri Fraccaro e Bonafede e al premier Conte, segnala infatti una frattura impossibile da colmare con Salvini che trasferisce a Milano Marittima il suo quartier generale disertando la riunione del Cipe così come ieri l’altro aveva mancato quella sulla Libia. Una distanza destinata ad accentuarsi oggi con l’incontro che Conte avrà a palazzo Chigi con la presidente della Commissione von der Leyen, accusata ieri dal ministro Fontana di non aver voluto parlare con la Lega. Per far capire alla tedesca chi è il vero azionista di maggioranza, oggi Salvini ha un’occasione ghiotta che però non può non irritare il capo dell’esecutivo. Ovvero dare solo all’ultimo un nome come commissario Ue che saprà di “prendere o lasciare”. Ma lo scontro di Salvini con Alfonso Bonafede, ministro e peso massimo tra i Cinquestelle, traccia un punto di non ritorno anche nel Movimento. La sconfitta subita dal Guardasigilli rischia di spostare un pezzo da novanta dei pentastellati verso posizioni più movimentiste. Non a caso ieri è tornato a farsi sentire Alessandro Di Battista che, attaccando il ministro dell’Interno e la Lega, ha aggiunto peso alla battaglia persa in consiglio dai ministri dai grillini. Resta il fatto che nel Carroccio ora nessuno nega la volontà di trattare, ma quelli che per la Lega sono questioni di merito, per il M5S sono «pretesti» per alzare la temperatura. Sulla riforma del processo penale, i fronti continuano a essere distanti. Spiegava infatti ieri Giulia Bongiorno ai suoi collaboratori: «Il problema è che così la bomba atomica sui processi con l’entrata in vigore della nuova prescrizione rimane. E non va bene». I leghisti spingono, sapendo che su aspetti il M5S difficilmente cederà: «Vogliamo un impegno sulla separazione delle carriere in magistratura e nel merito serve più coraggio».

I VERTICI
Ragionando per titoli dal Carroccio ripetono sempre gli stessi ragionamenti: tempi certi per i processi, sanzioni disciplinari e processuali per i giudici che sbagliano. In più in queste ore si è aggiunta la figura del «manager» nei tribunali, un profilo che non dovrà essere per forza un magistrato. Se a queste richieste si aggiunge il tema delle intercettazioni («Dobbiamo affrontarlo e subito: non possiamo continuare a prorogare l’entrata in vigore della riforma Orlando», continua Ostellari») si capisce subito come le posizioni siano inconciliabili. Sempre Bongiorno, in qualità di responsabile giustizia della Lega, tiene a specificare che il nuovo processo penale non «è finito su un binario morto». Ma allo stesso tempo è la prima a sottolineare che il testo presentato l’altro giorno, e approvato salvo intese in consiglio dei ministri, così com’è non «lo voteremo mai». I vertici del M5S sono sicuri che non sarà questa, quella della giustizia, la pietra d’inciampo dell’esecutivo. «Il vero problema - spiega un big pentastellato del Senato - si porrà in autunno con la manovra: fatta quella, allora Salvini potrebbe davvero staccare la spina». La fotografia di questi giorni è comunque problematica. La settimana prossima al Senato ci saranno due «stress test». Il primo, martedì, con la fiducia al Decreto Sicurezza bis (quattro i dissidenti grillini) e il secondo, il giorno dopo, con la mozione sulla Tav. In questo caso la Lega è pronta a votare il documento del Pd che si esprimerà a favore dell’opera. La risposta al «no» che il M5S metterà ai voti a Palazzo Madama.

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