Genova, un anno dopo torna il governo dell’occasione mancata

Genova, un anno dopo torna il governo dell’occasione mancata
di Mario Ajello
Mercoledì 14 Agosto 2019, 00:25 - Ultimo agg. 10:04
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GENOVA Il requiem del governo ha scelto Genova per essere suonato. Proprio questa città che è stata, nel dolore del crollo del ponte e delle 43 vittime del Morandi, il grande palco italiano della marcia trionfale dell’esecutivo giallo-verde. Il simbolo di come una nuova classe dirigente avrebbe risanato l’Italia partendo da questa valle di lacrime chiamata Polcevera. E invece, la Grande Occasione s’è trasformata nel Grande Naufragio.
Arriva oggi Toninelli, insieme a tutti gli altri, un anno dopo, a rappresentare la rinascita genovese e italiana che non c’è e che s’è incagliata vanificando se stessa e le sorti del governo sulle macerie del ponte Morandi. Che poteva, doveva, assurgere a esempio di scuola della capacità costruttrice e ricostruttrice della politica finalmente libera da ideologismi e invece si è perso tempo, non si è saputo avviare un piano infrastrutturale ampio e anche alternativo al ponte (le polemiche e i blocchi della Gronda ne sono la sconfortante dimostrazione), si è scatenata una guerra di religione anti-capitalista sulle concessioni ad Autostrade. 

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GLI SFOLLATI
E nella perdita infinita del tempo restano aperte questioni dolorose, come quella degli sfollati che ancora non sanno dove andare. Ma sanno, molti di loro, che oggi non devono andare e non andranno alle celebrazioni ufficiali, proprio come reazione alla politica grillesca del non fare. 
Quella per cui Di Maio e Toninelli invece di occuparsi della sostanza della questione - ossia del come rilanciare una città ferita, del come dimostrare che l’approccio pragmatico e fattivo ai problemi del Paese sia il vero cambiamento - hanno attizzato guerre di retroguardia non in grado di risolvere nulla.
 



L’IMMAGINE
La foto di un anno fa è stata quella di Salvini e di Di Maio, uniti nel grido «i colpevoli pagheranno caro», solidali naturalmente con le vittime e identici o quasi (poi si sarebbero divisi anche su questo) nella voglia di giustizia rapida e sommaria. «Qualcuno deve finire subito in galera», gridò il capo leghista precipitatosi sul luogo della strage. Lo stesso mood che spinse l’Avvocato del Popolo, Giuseppe Conte, a proclamare: «Non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale». 
Ecco, la tragedia del ponte ha scatenato non la furia innovativa del miglioriamo tutto, ma la pulsione retrospettiva del colpevolismo a vanvera. Erano quasi abbracciati, nel momento del cordoglio, Salvini e Di Maio. 
Mescolavano le loro lacrime e il loro approccio: la vecchia politica prometteva e non faceva, ma con noi sarà tutto diverso. E giù applausi della gente. Quella che oggi, alla cerimonia del primo anniversario del crollo, è pronta a urlare: «La crisi di governo non ritardi la costruzione del ponte. Già avete sprecato tanto tempo, tra fanfare e litigi». 

IL CONTRATTO
E così a Genova - una città ancora molto provata e devastata, con le macerie sotto alle finestre - i due vicepremier più Conte, un terzetto di ex che si sono sopportati ma ora basta, saranno la rappresentazione del passato di un’illusione.
Quella del Contratto, che agli occhi di molto genovesi si è rivelato la somma improduttiva fatta più di No che di Sì. 
Anche se adesso, come anticipa Salvini: «A Genova non avremo nulla da dirci, il governo è finito ed è inutile fingere che ci sia ancora». O che sia stato conseguente al mandato che si era dato.
Questo fu il messaggio lanciato nel consiglio straordinario dei ministri il giorno di ferragosto alla prefettura, mentre ancora la polvere e la morte impegnavano l’aria della città: «Ricostruiremo Genova e l’Italia». 
Di più: «Ora si cambia musica», annunciò Di Maio esprimendo la volontà grillina di offrire un capro espiatorio - i «maledetti concessionari» - all’opinione pubblica da incattivire. E a un anno di distanza, l’unica cosa accertata e l’incapacità del (fu) principale partito in Parlamento di mostrare vicinanza istituzionale ai familiari delle vittime, senza necessariamente brandire al cielo la forca. 

LA SCENA
Applausi per i giallo-verdi e fischi per il Pd. Questa fu la scena di un anno fa. Ora i 5 stelle, forse alleati con i dem nel nuovo eventuale governone, temono i fischi e infatti qui a Genova ripetono tutti alla vigilia della commemorazione: «Grillo e i grillini? E chi li ha mai visti in città dopo la passerella successiva al dramma!». 
Salvini si aspetta grandi tributi ma chissà, e ogni applauso che incasserà stamane (se lo incasserà) è pronto a considerarlo strumentalmente una pernacchia a Di Maio e a Conte. 

L’IMBARAZZO
È dire poco, dunque, che il ricordo della strage dell’agosto scorso imbarazza il governo. Questo sarà il set della resa dei conti. Commozione, certo, e muro contro muro. Con Toninelli icona di una storia sbagliata. La messa affidata al cardinale Angelo Bagnasco e la preghiera islamica dell’imam di Genova non basteranno a coprire di misericordia gli errori politici e gli orrori ideologici di cui la vicenda del ponte Morandi resta simbolo.
E quando si avrà finalmente il varo del viadotto-nave di Renzo Piano, chissà quale governo ci sarà a inaugurarlo.
Nella speranza che su Genova faccia il contrario di ciò che si è fatto o che non si è fatto.

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