Migranti: torture, stupri e omicidi nel centro di prigionia in Libia. Fermati a Messina tre carcerieri

Migranti, arrestati tre aguzzini di un campo di prigionia in Libia. «Ecco come ci torturavano»
Migranti, arrestati tre aguzzini di un campo di prigionia in Libia. «Ecco come ci torturavano»
Lunedì 16 Settembre 2019, 11:17 - Ultimo agg. 17:21
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Torture, botte, ricatti e stupri. Sono solo alcune delle assurde violenze a cui decine di migranti - sbarcati a Lampedusa lo scorso 7 luglio - sono stati sottoposti in un campo di prigionia in Libia. Le testimonianze hanno condotto all'arresto a Messina di tre uomini accusati di gestire il campo di prigionia a Zawyia. I fermati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, alla violenza sessuale, alla tortura, all'omicidio e al sequestro di persona a scopo di estorsione. Al momento del fermo si trovavano nell'hot-spot di Messina.

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Si tratta di Mohammed Condè, detto Suarez, originario della Guinea, 27 anni, Hameda Ahmed, egiziano, 26 anni e Mahmoud Ashuia, egiziano, 24 anni. Le vittime, arrivate a Lampedusa il 7 luglio scorso dopo essere state soccorse dalla nave Mediterranea, hanno riconosciuto i tre carcerieri dalle foto segnaletiche mostrate loro dalla polizia, che, dopo ogni sbarco, fa visionare ai profughi le immagini di migranti giunti in Italia in viaggi precedenti proprio alla ricerca di carcerieri o scafisti.

 


I fermati erano arrivati in Italia qualche mese prima delle vittime. Condè aveva il compito di catturare, tenere prigionieri i profughi e chiedere ai familiari il riscatto. Solo dopo il pagamento le vittime potevano proseguire il loro viaggio. Era Condè a dare ai profughi il cellulare per chiamare a casa e chiedere il denaro. Ahmed e Ashuia sarebbero gli altri due carcerieri: le vittime hanno raccontato anche di essere state torturate e malmenate da entrambi.

Intanto cominciano a emergere le prime testimonianze dei migranti sbarcati in Italia dalla nave Mediterranea lo scorso 7 luglio. E quello che ne viene fuori è uno scenario da horror. Ecco i racconti delle vittime dei tre aguzzini fermati all'alba di oggi dalla Squadra mobile di Agrigento, diretta dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi, su disposizione della Dda di Palermo. 

«Tutti i giorni venivamo, a turno, picchiati brutalmente dai nostri carcerieri. Personalmente sono stato picchiato, per ben due volte, da Mohamed, l'egiziano», racconta una vittima come si legge nel provvedimento di fermo. «Il motivo era da ricondurre al fatto che noi dovevamo pagare il riscatto per la nostra liberazione», racconta un altro profugo. «Durante la mia detenzione all'interno di questo carcere ho visto morire tanta gente, in particolare due fratelli della guinea che sono deceduti a causa delle ferite non curate, subite durante le violenze nei loro confronti. Ho visto che molte donne venivano spesso violentate da Ossama e dai suoi seguaci».

E un altro ancora: «Per bere utilizzavamo l'acqua dei bagni. Tutti noi migranti venivamo spesso picchiati, anche duramente. Se sbaglia uno, venivamo picchiati tutti, in modo tale da dare un chiaro esempio a tutti. Io sono stato picchiato più volte, anche senza alcun motivo apparente. Noi migranti venivamo picchiati tramite un tubo di gomme che ci procurava tante dolore e, alcune volte, anche delle ferite».

«Personalmente, all'interno di quel carcere, ho avuto modo di vedere che un migrante è deceduto a causa della fame. Era malnutrito e nessuno prestava a lui la necessaria assistenza - dice un testimone - Ho visto, anche, tanti altri migranti ammalati che non venivano sottoposti alle cure necessarie. Ho visto che un carceriere, tale Mohamed l'egiziano, una volta, ha sparato e colpito alle gambe un nigeriano, colpevole di aver preso un pezzo di pane. Ho avuto modo di vedere che, tante volte, nel corso della giornata, le donne venivano prelevate dai carcerieri per essere violentate. Da questa prigione si usciva solamente se si pagava il riscatto. Chi non pagava, al fine di sollecitare il pagamento, veniva ripetutamente picchiato e torturato».

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