La vittima si trovava con il figlio Generoso Raffaele per recuperare alcuni bovini allontanatisi dalla zona di pascolo utilizzata di solito quando improvvisamente vennero sparati colpi di arma da fuoco da parte di Bruno Di Meo nei confronti di Generoso Raffaele Pennasilico.
Quasi contemporaneamente, a breve distanza, il padre venne colpito da un primo colpo di fucile caricato a pallettoni da altri complici, come riferito dalla vittima al figlio in una concitata telefonata nel corso della quale lo avvisava di mettersi in salvo. Dopo qualche ora l'uomo fu stato trovato morto nei pressi di un torrente ai piedi di un dirupo, mentre il figlio riuscì a salvarsi e a chiamare i soccorsi e le forze dell'ordine. Il corpo del pastore venne trovato dopo alcune ore dai militari e recuperato grazie all'intervento di una squadra del soccorso alpino dei vigili del fuoco. Le indagini vennero indirizzate subito sull'indagato riconosciuto dal giovane Pennasilico come quello che, tendendogli un agguato, aveva cercato di ucciderlo. Il movente dell'agguato è da ricercarsi nell'astio tra le due famiglie risalente nel tempo a causa dello sfruttamento dei pascoli. Nel corso del tempo, infatti, entrambe le famiglie si sono accusate a vicenda di invadere reciprocamente il capo di pascolo altrui.