Il «tempo presente» di Panariello nel passato della chiesa salernitana di Santa Maria de Lama

Il «tempo presente» di Panariello nel passato della chiesa salernitana di Santa Maria de Lama
di Donatella Trotta
Venerdì 27 Settembre 2019, 11:03
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Un artista contemporaneo capace di dialogare con il passato, trovando nell’immanenza e nelle contraddizioni del presente i segni di una trascendenza concettuale, intrisa di laica e visionaria spiritualità: Giuseppe Panariello, per gli amici Pippo, torna ad esporre le sue opere recenti in una personale curata dal sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello che la presenterà, in occasione dell’inaugurazione (sabato 5 ottobre alle ore 17.30 nell’antica Chiesa di Santa Maria de Lama a Salerno), in un incontro culturale con l’artista, aperto dai saluti del Console Enrico Andria, Coordinatore del TCI Territorio di Salerno (i cui volontari tengono aperta la struttura sui Gradoni della Lama, una traversa di via Tasso nel cuore del centro storico della città) e arricchito dagli interventi di Pino Cotarelli, giornalista, critico teatrale, redattore di «Teatrocult News» e «Proscenio»; di Franco Lista, architetto e docente UNISOB; e di Carlo Spina, avvocato ed ecologista.
 
E si intitola appunto «Tempopresente» l’esposizione di Panariello, aperta fino a domenica 20 ottobre (apertura: sabato e domenica, ore 10-13 o su appuntamento, info: 339 6923251 / 347 8116190) e organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Sociologi – Dipartimento Campania, che espone l’ultima produzione dell’artista e docente di Villaricca, che così precisa la propria poetica, basata su una incessante ricerca in costante evoluzione, stimolata dalle sfide dei tempi: «C’è discontinuità pittorica con le mie opere precedenti. E una netta contrapposizione con generi e mode. Oggi, la pittura è governata dall’urgenza degli eventi sociali, dalla cronaca, dalla crisi mondiale della politica e da tantissime altre criticità. Ma proprio oggi, l’artista diventa il poeta contemporaneo della ricerca, necessaria per avviare una riflessione sulle variabili fondamentali sull’arte, senza cedere alla tentazione di far prevalere il mercato sulla personalità lavorativa».
 
Un’indipendenza nella continuità dei linguaggi artistici sottolineata dalle opere esposte, che secondo Maurizio Vitiello «contengono sensi e segmenti di una declinazione che ci fa pensare a Mark Rothko, laddove l’artista statunitense affermava: “I quadri devono essere miracolosi. Nell’istante in cui un quadro è terminato, ha fine l’intimità tra la creazione e il creatore. Il creatore diventa esterno alla sua stessa opera. Per lui, come per chiunque altro Il quadro dovrà essere una rivelazione, la soluzione inattesa e inedita di un problema che da sempre urge dentro… non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio e a questa solitudine, di dilatare il petto e tornare a respirare"».
 
Il respiro di «Tempopresente», in Panariello, è così scandito da icone astratte e metaforiche, incisive e penetranti nella loro semplicità formale, che investono e interrogano l’immaginario in un’armonia che sembra fondere anche Oriente e Occidente, con la velocità del gesto cromatico che traccia segni con glitter su lamiere di ferro arrugginite apposta. Per Vitiello la particolarità di queste opere-icone rappresenta «la libera evocazione di passati lontani, di testimonianze post-moderne, di equilibri estetici fondati sulla percezione di un tempo sempre presente»; e «la visione di intenso rigore formale dell’artista – continua il curatore della mostra - porta alla riflessione su un silenzio dell’anima, quell’anima che ha scandito il tempo e che ha conosciuto i luoghi di uno spazio interiore. L’opera resta così come muta testimonianza, residuo di una realtà passata, ma non dissolta, esprimendo un’estetica di indubbia qualità performativa e di primo piano concettuale, connotata da finezza compositiva, equilibrio raggiunto, armonia della bellezza, spiritualità esistenziale, sensibilità ben distribuita e amalgama visivo».
 
Ad accentuare l’impatto evocativo-emotivo dell’esposizione, anche la scelta della sede, un gioiello non soltanto architettonico da (ri)scoprire: la Chiesa di Santa Maria de Lama, una delle più antiche chiese di Salerno. Costruita in un primo momento tra il X e l’XI secolo, come una cappella privata di alcuni nobili, quando la città era nel pieno della dominazione longobarda, deve il proprio nome al torrente che scorre ancora adesso davanti all’edificio sotto il livello stradale. Inizialmente, questa chiesa doveva essere edificata su un preesistente edificio romano del II secolo, di cui rimangono alcune murature in “opus reticulatum”, e doveva presentare una pianta quadrata e un ingresso rivolto a sud: ciò che rimane di questo primo periodo è l’attuale cripta, in cui sono ancora visibili i resti di alcuni affreschi di fattura beneventana. In una sede di tale respiro storico, il tratto sobrio ma densamente evocativo di Panariello si inserisce con grazia, in uno stimolante rinvio di suggestioni per i visitatori della mostra.
 
 
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