Bacharach: "A Broadway con Costello, "Painted from memory" diventa un musical"

Burt Bacharach con Elvis Costello
Burt Bacharach con Elvis Costello
di Federico Vacalebre
Lunedì 30 Giugno 2014, 16:29 - Ultimo agg. 18:15
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Il titolo, An evening with..., potrebbe sembrare banale, anzi lo , ma una serata con Burt Bacharach, classe 1928, cosa, tanto per dire un’altra banalit, da Magic moments assicurati. Il compositore con lo sfizio del fronte del palco torner in Italia per tre date estive: il 16 luglio a Villa Rufolo per il Ravello Festival, due giorni dopo al Festival del Vittoriale a Gardone Riviera (Brescia) e il 20 alla Fenice di Venezia.

Che cosa aspettarsi dal suo tour lo sappiamo: melodie impeccabili, capolavori in forma di canzone(tta), pop da camera sofisticato eppure immediato, armonie avanzate, mutazioni di accordi con imprevedibili modulazioni, improvvisi cambi di ritmo, suoni bianchi eppure innervati di black culture ed influssi jazz. Ma che cosa ci prepara la sua carriera?

«Un nuovo musical per Broadway scritto con Elvis Costello, un autentico genio. Sedici anni fa abbiamo scritto insieme un album, ”Painted from memory”, che ci ha dato molte soddisfazioni, compreso un Grammy Award. Le canzoni di quel disco sono davvero riuscite, non a caso sono rimaste in scaletta sino ad oggi nei concerti di Elvis come nei miei, ora le vogliamo riprendere, aggiungendone sei o sette nuove. Abbiamo realizzato qualche provino con una vocalist per capire come potrebbe venire imbastita musicalmente la storia di un pittore che cerca una madre per il suo bambino, ma... È presto, però, per parlarne. Il libretto dovrebbe essere di Chuck Lorre, il creatore di sitcom come "The Big Bang Theory; l’idea di partenza è stata suca. La canzone centrale di tutto è una delle perle di ”Painted from memory”, ”I still have the other girl”. Dobbiamo ancora trovare il regista giusto, e poi iniziare il work in progress che ci porterà allo spettacolo».

In attesa di «Painted from memory - The musical», quasi a bissare il successo di «Promises, promises» scritta nell’era in cui Hal David era il suo paroliere dal tocco d’oro, proviamo a guardare indietro nella sua carriera gloriosa: 73 brani che hanno stazionato nella Top 40 statunitense, 52 in quella inglese, brani come «Walk on by», «Do you know the way to San Josè», «I say a little prayer», «The look of love», «My little red book», «Raindrops keep falling on my head», «That’s what friends are for»... Lei mosse i primi passi nel Brill Building, factory dell’editoria musicale in piena Manhattan.

«Tra ispirazione e business, nuove tecnologie e nuove comunicazioni di massa in quel palazzo si incontravano i signori della canzone. Gente che si chiamava Gerry Goffin e Carole King, Phil Spector, Paul Simon, Jerry Leiber e Mike Stoller, Laura Nyro. Ma per me fu un periodo di compromessi e frustrazioni, lavorai male, era come se le cose che firmavo le avesse scritte un altro».

Ricorda con maggiore piacere l’impegno come direttore d'orchestra per Marlene Dietrich dal 1958 al 1965?

«Direi proprio di sì, mi permise di girare il mondo e di capire il mestiere del fare musica, mostrandomi come lavorare con una simile diva, come comportarmi con gli orchestrali, come padroneggiare il palco, come affrontare il pubblico».

Poi iniziò a giocare con i suoi accordi sospesi, a trovare arrangiamenti che arrivarono a fondare una nuova forma di pop song, non sempre capita dalla critica, che la trovò troppo borghese ed elaborata, ma amatissima dal pubblico. Spesso grazie anche alla voce di Dionne Warwick, la sua interprete-feticcio.

«Mi piacciono le donne, non a caso sono arrivato a quattro matrimoni. E mi piace scrivere per le voci femminili. E non conosco nessuno a cui non piacerebbe scrivere per l’ugola di seta e di sole di Dionne: la sua sensibilità era ed è strepitosa».

Nel 1970 vinse due l’Oscar per la colonna sonora di «Butch Cassidy and the Sundance Kid» e la canzone «Raindroops keep falling on my head» lanciata dal film canzone, nel 1982 arrivò a quota tre con il tema di «Arthur». E diversi altri suoi hit, da «Alfie» a «The look of love», hanno origini cinematografiche. Come si trovava a comporre per il grande schermo?

«Bene, ma non seguivo, anzi nemmeno guardavo le immagini. Cercavo, piuttosto, di seguire le emozioni che il regista portava sullo schermo».

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