Da Cutolo a Sandokan, i boss
che sperano nell'ergastolo «soft»

Da Cutolo a Sandokan, i boss che sperano nell'ergastolo «soft»
di Mary Liguori
Martedì 8 Ottobre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 10 Ottobre, 09:23
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I detenuti all’ergastolo ostativo e quindi i supercarcerati al 41 bis o sottoposti alle restrizioni dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario possono, da oggi, ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per ottenere benefici finora loro negati. La decisione di ieri della Grande Chambre ha effetti diretti, al momento solo teorici, sui camorristi ergastolani ristretti da decenni nei penitenziari italiani di massima sicurezza. Personaggi come Giuseppe Setola, il boss stragista dei Casalesi, l’uomo che si diede latitante proprio dopo una scarcerazione ottenuta con un falso certificato di cecità, che durante la fuga di nove mesi uccise e fece uccidere diciotto persone, sarà tra i primi a ricorrere alla Cedu.
 
Sogna un permesso premio che gli consenta di riabbracciare la moglie e la figlia. Il suo avvocato, Paolo Di Furia, curerà anche il ricorso di Michele Zagaria, detenuto nelle medesime condizioni di Setola, ma da meno tempo. Nell’immediato, dal momento che per chiedere permessi e libertà condizionale occorre che siano stati scontati un certo numero di anni di carcere, possono aspirare al ricorso anche Francesco Sandokan Schiavone e Francesco Bidognetti. In pratica la cupola dei Casalesi al completo. 

Immaginare cosa accadrebbe al ritorno a casa di un boss di questo calibro non è difficile. Per farsene un’idea basta tornare al 5 marzo del 2015 e ripercorrere i tre giorni di permesso premio concessi ad Augusto La Torre, altro pezzo da novanta della camorra casertana, prima pentito, poi scaricato dalla Dda. A La Torre furono concesse 72 ore di libertà dal tribunale di Sorveglianza e, appena fuori dal carcere, un familiare gli scattò una foto che poi pubblicò su Facebook. Pochi minuti e il web fece il suo corso: condivisioni a gogo, commenti entusiastici, la notizia mandò in visibilio i «romantici» della camorra di un tempo, soprattutto nella «sua» Mondragone. La foto di La Torre sembrò una sfida a tutto e a tutti. E fu uno schiaffo in piena faccia per i familiari delle sue, tante, vittime.

Ma in Campania la bacchettata della Cedu al governo italiano può diventare un’arma per tantissimi altri capiclan pronti a recriminare i propri diritti umani. Raffaele Cutolo è detenuto da oltre quarant’anni ed è forse il boss più isolato al mondo. Una misura necessaria, a parere della giustizia italiana, prima attuata con l’isolamento aggravato, poi con la legge 41 bis, dal momento che il «professore di Ottaviano» mise su l’esercito della Nco proprio dal carcere. Cutolo ha già dimostrato di poter far valere i suoi diritti quando ottenne l’autorizzazione per la fecondazione in vitro che gli diede una figlia; era il 2007. Ma ci sono altri camorristi sanguinari che si sono sempre rifiutati di collaborare con lo Stato nelle condizioni di poter presentare il proprio ricorso. Uno fra tutti, l’irriducibile mammasantissima di Castellammare di Stabia, Ferdinando Cesarano, 30 ergastoli (record italiano), mai un segno di cedimento, diploma e due lauree conseguiti durante l’infinita detenzione al 41bis. Seconda tesi proprio sul carcere duro. 

Altri agguerritissimi camorristi che hanno già dato prova di sapersi districare nella difficoltosa ricerca dei propri diritti si trovano nell’area oplontina. Umberto Onda, condannato a svariati ergastoli, è ospite a Terni al 41bis e ha ottenuto dalla Cassazione che gli venisse servito un menu senza pietanze a base di pesce: è allergico, nonostante sia figlio di un pescatore. Onda intrattiene colloqui fissi con il Garante per i detenuti. Altro guerriero dei diritti dei carcerati che guarda sicuramente con fiducia alle indicazioni di Strasburgo è Luigi Di Martino, reggente del clan Gionta di Torre Annunziata, detto «il profeta». Dopo l’arresto, fu lasciato in regime ordinario, ma a quanto pare si alleò ai Mallardo di Giugliano e ad altri camorristi detenuti con lui a Secondigliano e organizzò l’omicidio di Aldo Autuori, boss di Salerno ucciso a Ferragosto del 2015. Fece tutto in carcere e quando lo si scoprì, fu spedito a Opera al 41bis. Di Martino si batté e ottenne l’autorizzazione per sposare, nella cappella del penitenziario, la sua attuale moglie. Dalla provincia, culla della più feroce criminalità organizzata, bisogna spostarsi alla periferia a est di Napoli per trovare altri detenuti con le carte potenzialmente in regola per il ricorso e i permessi. E andare su nomi che evocano guerre di camorra paragonabili, in termini numerici, a moderni stermini di massa. 

Il più celebre camorrista che potrebbe chiedere permessi premi è Paolo Di Lauro, il re della droga di Secondigliano, detenuto da quindici in regime di carcere duro, come alcuni dei suoi figli. Di Lauro, «il milionario», potrebbe far ricorso per riabbracciare la moglie, come potrebbe invocare i propri diritti umani Eduardo Contini, altra testa di serie della criminalità organizzata napoletana. Sarà, con tutta probabilità, la battaglia per i diritti umani più singolare, e certamente contestata, della storia. 
 

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