L'America parla napoletano
e studia il Dna dei calciatori

Giovedì 10 Ottobre 2019, 18:39 - Ultimo agg. 18:43
3 Minuti di Lettura
La formazione è al completo, in tinta con gli arredi: nel laboratorio pitturato d'azzurro, i colori della squadra del cuore, sono appena arrivati i campioni di Dna prelevati ai calciatori del Napoli. Li ha portati un ragazzo di 30 anni carico di borse e propositi, deciso a restare oltreoceano per cogliere nuove opportunità e innanzitutto per perfezionare il suo inglese. Ma qui, nell'istituto Sbarro di Philadelphia, all'interno della Temple University, nessuno perde l'accento partenopeo. Anzi, c'è un cinese che parla in dialetto quasi perfetto e fa ricerca con i cervelli in fuga che, alle volte, ritornano. Come l'oncologo Antonio Giordano, direttore e docente universitario: il primo ad aver segnato la rotta in direzione ostinata e contraria.




Il professore, che insegna anche all'Ateneo di Siena e segue il Crom di Mercogliano, è l'ideatore del progetto e coniuga la passione del tifoso con l'impegno scientifico. Lui spiega: «Abbiamo selezionato un centinaio di geni che indicano una certa predisposizione a malattie degenerative. Poi, abbiamo raccolto i dati professionali e familiari dei giocatori in modo da valutare i rischi effettivi e mettere a punto accorgimenti tali non solo da predire il pericolo di infortuni (ad esempio, gli strappi muscolari) ma poter intervenire, personalizzando i programmi di allenamento e modificando lo stile di vita». Ecco, l'ultima frontiera della prevenzione: e si capisce che lo studio è così finito sulla rivista internazionale Jcp, e il risultato ora è in fase di valutazione con l'estensione dell'indagine a tutti i fuoriclasse del San Paolo, da Mertens a Ruiz.

Non solo: «Anche gli atleti del football a stelle e strisce sono chiamati a partecipare al programma che punta a individuare altri biomarcatori, indispensabili per mettere a punto le terapie innovative». Le possibilità sono numerose e le strade diverse: il farmacista Carlo Castruccio Castracani, classe 1991, sempre allo Sbarro è riuscito a bloccare l'enzima Eme ossigenasi-1 (HO-1), che ha un ruolo importante nel glioblastoma multiforme, un tumore cerebrale a oggi senza cura. La sua tecnica di xenotrapianto delle cellule malate è utilizzata, almeno per ora, in sistema animale, denominato Zebrafish.

Invece, Milena dell'Aquila, d'origine irpina, si occupa della chinasi ciclica dipendente 9 (Cdk9), che ha identificato nel laboratorio di Giordano. E ne analizza le funzioni e le alterazioni: «E il ruolo emergente per riparare i danni», chiarisce. Un altro trentenne Angelo Canciello, laureato in Biotecnologie mediche alla Federico II, si occupa di valutare le proprietà rigenerative delle staminali ottenute dalla placenta: studiando le cellule pluripotenti ha identificato nuove molecole coinvolte nella transizione epitelio mesenchimale, il processo che porta alla trasformazione del tumore benigno in maligno e quindi alla formazione delle metastasi. «Bloccare questo passaggio nel cancro al seno, al polmone e nel mesotelioma, come sto tentando di fare, può segnare la svolta», dice con orgoglio. E Giordano conclude: «Oltre 450 giovani si sono formati qui, nell'istituto di Philadelphia in provincia di Napoli», sorride. Ognuno con il suo percorso, talenti pronti a centrare la rete. Gol, letteralmente obiettivo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA