Carlo Croccolo, l'ultima intervista al Mattino per i suoi 90 anni

Carlo Croccolo, l'ultima intervista al Mattino per i suoi 90 anni
di ​Titta Fiore
Sabato 12 Ottobre 2019, 11:13
4 Minuti di Lettura
Inviato a Lecce

Ora che il tempo è passato, sugli anni trascorsi accanto al principe della risata vorrebbe scrivere un libro. Ha già pronto il titolo: «Totò ed io». Per i contenuti basta attingere alla sua memoria formidabile, precisa come il database di un computer, attrezzo che peraltro usa benissimo, mettendo in riga tecnici e consulenti. Carlo Croccolo domenica compie novant’anni, e il comune di Castel Volturno, dove vive con la moglie Daniela Cenciotti in una bella casa con il giardino e l’orto, gli consegnerà per festeggiarlo le chiavi della città. A Lecce ha appena inaugurato il Festival del cinema europeo con una serata Totò fatta di ricordi, omaggi e proiezione della copia restaurata del film «Chi si ferma è perduto», a cura della Cineteca di Bologna. Pienone e risate come a una prima assoluta.
 

La forza dei classici è questa. Al grande Totò Carlo Croccolo ha prestato la voce in una decina di film. Con discrezione e affetto gli è stato vicino quando il mattatore perse quasi del tutto la vista. Ora racconta: «Ha ispirato la mia vita, è stato un maestro». Niente sentimentalismi, però: ai toni sdolcinati Croccolo preferisce il graffio beffardo, la zampata ironica e impietosa. Primattore e medico mancato, può resistere a tutto, ma non alla tentazione di una buona battuta. Di sé dice: «Sono stato terribile, mia madre cercava di tenermi a freno a suon di mazzate, non auguro a nessuno un figlio come me».
 
 

E con Totò, invece, come si comportava?
«Sul lavoro lui era rigoroso e severo, io giovanissimo e un po’ cretino a volte ne approfittavo. Quando girammo “Totò Lascia o raddoppia” m’incapricciai di un paio di pattini con le ruote di legno che facevano un rumore terribile, drrr, drrr, e scorrazzavo per i corridoi dello studio incurante del fastidio che procuravo agli altri. Totò, esasperato, mi fece chiamare, disse che avremmo provato la scena dell’armadio, mi fece entare nel suddetto e chiuse a chiave. Restai lì dentro per un’ora e mezza senza fiatare, povero me, ma imparai la lezione».

Dispetti a parte, com’erano i suoi rapporti con il principe de Curtis?
«Credo mi considerasse un po’ suo figlio, il figlio maschio che non aveva avuto. Mi trattava con severità e con affetto, e di questo lo ringrazio ancora. Lo rispettavo molto e non mi sono mai permesso di contrastarlo in modo evidente. Con altri, con Aldo Fabrizi, per esempio, ho avuto un rapporto spaventoso, ma nemmeno Totò andava d’accordo con lui».

Com’era Totò sul set, improvvisava come si racconta?
«Riscriveva tutto, altro che improvvisare. Ci chiudevamo nella sua roulotte, lui dettava le battute, Mario Castellani scriveva e poi prove su prove, come a teatro. Quando andavamo davanti alla macchina da presa eravamo padroni del testo e dei tempi. Totò non permetteva a nessuno di cambiare una virgola. L’unico sono stato io, nella scena della mortadella in “Signori si nasce”, e gli scappò da ridere».

Negli anni Sessanta cominciò a doppiarlo.
«Fu lui a chiedermelo, quando perse la vista. Avevamo lo stesso timbro, Totò se ne accorse sentendomi doppiare in francese “La legge è legge” con Fernandel e mi mandò a chiamare. Io mi ero trasferito in Canada, rientrai e cominciai il lavoro dietro le quinte. Non se ne accorse nessuno, nessuno doveva sapere. Doppiavo le scene in esterni, solo per “Uccellacci e uccellini” Totò volle fare tutto da solo, Pasolini gli dava una pacca sulla spalla e lui attaccava la battuta. Sempre perfetto, bravissimo».

Fu cosi che diventò la voce del principe.
«La voce del principe, sì. Magari avessi avuto qualcosa in più della sua arte, non solo la voce.... Però non sono mai stato un semplice imitatore, ho dato personalità ai personaggi. E oltre a Totò ho doppiato anche Nino Taranto, e nel film di Corbucci “I due marescialli” perfino Vittorio De Sica. Ha presente la battuta “domenicano... domenicano... Capurro!”? beh, quello ero io».

Ha attraversato gli anni d’oro del cinema italiano, com’era quel mondo?
«Non è mai tutto oro quel che luccica, l’ambiente dello spettacolo non fa eccezione. I fetenti sono dappertutto, e mi ci metto anch’io. Io sono uno zozzone, mi piacciono le donne. Dicevano: da vecchio cambierai... evidentemente non sono ancora vecchio».

Totò aveva un gran successo con le donne.
«Era un vincente anche in questo».

Però lei ebbe un incontro fatale con Marilyn Monroe...
«La conobbi a un ballo della Paramount, ci ero andato con May Britt e suo marito Sammy Davis jr, poi ero rimasto in un angolo, con un bicchiere in mano e l’aria da scemo. Marilyn passò, mi vide e mi scambiò per un irlandese, per via dei capelli rossi: “Che fai tutto solo?”. Le dissi che ero napoletano, lei scoppiò a ridere e facemmo amicizia. Un’affettuosa amicizia, fu bello, ma anche triste. Marilyn era cristallo puro, una donna meravigliosa, insicura del suo fascino e sola, spaventosamente sola».

A Castel Volturno le preparano grandi festeggiamenti. E a Napoli, la sua città?
«Non ho un buon rapporto con Napoli, è troppo ancorata al passato, come se non volesse migliorare. Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, un grido di ribellione per far venire fuori dalle cose vecchie la città nuova, la Nea-polis».
© RIPRODUZIONE RISERVATA