Il ritorno di Cirino Pomicino:
«Pronti a rifondare la Dc»

Il ritorno di Cirino Pomicino: «Pronti a rifondare la Dc»
di Generoso Picone
Giovedì 17 Ottobre 2019, 08:48 - Ultimo agg. 18 Ottobre, 07:07
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«Una sfida», Paolo Cirino Pomicino la definisce così.

A che cosa?
«A tentare di recuperare un metodo politico che pare scomparso, a cercare di ripristinare soprattutto nelle Istituzioni il metodo del minimo comun denominatore che pare passato in disuso a vantaggio di quello del massimo comun divisore che continua a impedire l'individuazione di soluzioni a problemi di portata gigantesca che avrebbero bisogno del concorso di tutti».

Come progetto si presenta assai ambizioso e nelle linee di esposizione rimanda a qualcosa del passato. Non temete il déjà-vu?
«Macché. Il futuro si costruisce soltanto sulla memoria. E poi ha ragione Ciriaco De Mita quando afferma che il pensiero popolare è l'unico che abbia resistito all'usura del tempo: tanto è vero che oggi nel governo, e pure all'opposizione, sono presenti tanti democristiani i quali hanno il bisogno di avere una casa comune».

 
Dev'essere questo l'obiettivo che ha rimesso insieme lui, Paolo Cirino Pomicino, e Ciriaco De Mita e con loro tanti altri esponenti della Dc dei anni andati, protagonisti non soltanto in Campania, da Guido D'Angelo a Salvatore Lauro, da Nello Palumbo a Luigi Cobellis, da Franco Polizio a Michele Pisacane, ai più giovani Giuseppe De Mita e Corrado Matera per provare a riunire la diaspora dello Scudo crociato e sondare la possibilità di fondare un nuovo partito. Cirino Pomicino non lo chiama democristiano, ma popolare: che dalla Campania alza poi lo sguardo all'Italia.
Insomma, volete rioccupare l'area del centro moderato e riprendervi il ruolo antico.
«Quello che sta accadendo è la conseguenza di uno scambio di vedute. Abbiamo ripreso a parlarci e a confrontarci proprio dopo l'appello che Ciriaco De Mita ha lanciato a fine luglio in una intervista a Il Mattino. Dopo c'è stata la crisi del governo gialloverde e ora lo scenario è diverso».
Nella Dc eravate su posizioni diverse, quasi opposte.
«C'erano le correnti, ma la Dc era una e non siamo mai stati concorrenti. Una lezione di cultura politica che ora bisognerebbe rileggere».
Lunedì ad Avellino il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo ha fatto davanti a una qualificata rappresentanza di democristiani o popolari. Che giudizio ne dà?
«Con lo spirito ad Avellino ero presente anch'io. Sì, è stato un momento che è andato a collocarsi all'interno della riflessione che stiamo conducendo. Certo, a Conte non può bastare l'amicizia con il cardinale Achille Silvestrini per potersi ritenere un popolare. Speriamo che con lui anche altri rivalutino la nostra esperienza: non avremmo retto per 40 anni, con leader che duravano un trentennio pure senza cariche di governo, se non avessimo avuto delle qualità».
Quali?
«Le buone pratiche democristiane. Guardi, noi stiamo condividendo una esigenza: quella di rilanciare una Regione che almeno da un decennio non ci pare all'altezza delle domande non soltanto della Campania ma dell'Italia. Intravediamo un'unica possibilità: alimentarla di una visione programmatica e di una stabilità politica che può venire soltanto dall'esperienza delle buone pratiche democristiane. Penso a quello che abbiamo realizzato per la Campania e per Napoli negli anni '80, anche con il contributo critico positivo del governo ombra del Pci guidato da Giorgio Napolitano. Quel clima di dialogo e solidarietà è ciò che manca oggi».
Voi mirate a ripristinarlo. Dunque sarete della partita elettorale l'anno prossimo?
«Calma. Prima il partito, poi la lista. Ci riuniremo ancora riservatamente e tra fine novembre ed inizio dicembre ci presenteremo e spiegheremo pubblicamente le nostre ragioni. In giro constato tanta disponibilità nel condividere i valori del popolarismo».
Ottimista?
«Ci sono democristiani un po' ovunque che aspettano soltanto di riavere un loro riferimento».
Con Paolo Cirino Pomicino candidato?
«No, non ho più vent'anni. E da quando abbiamo avviato il nostro confronto abbiamo chiarito che per noi della generazione più anziana il ruolo sarà diverso».
Che cosa pensa dell'operato del governatore Vincenzo De Luca?
«Questa è una fase in cui non diamo giudizi. Sarà il partito a valutare e a stabilire eventualmente le alleanze. Che, giova ribadirlo, non sono eterne ma riguardano i programmi di governo».
Il solito centro che diventa ago della bilancia?
«No, il centro come modello di amministrazione e di politica. La Campania sarà un luogo di sperimentazione del nostro progetto. Siamo convinti che il pressapochismo di questi tempi si possa battere soltanto così».
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