Twitter vieta la pubblicità politica a livello globale, l'ad Dorsey: «Troppo pericolosa»

Twitter vieta la pubblicità politica a livello globale, l'ad Dorsey: «Troppo pericolosa»
Twitter vieta la pubblicità politica a livello globale, l'ad Dorsey: «Troppo pericolosa»
Giovedì 31 Ottobre 2019, 10:43
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«Riteniamo che la portata del messaggio politico debba essere guadagnata non acquistata». Così Jack Dorsey, fondatore e amministratore delegato di Twitter, ha annunciato l'interruzione da parte dell'azienda statunitense della pubblicità politica a livello globale sulla piattaforma social. «Mentre la pubblicità su internet è incredibilmente potente e molto efficace per gli inserzionisti commerciali, quel potere comporta rischi significativi per la politica, dove può essere utilizzato per influenzare i voti e influire sulla vita di milioni di persone», spiega ancora il fondatore del gruppo annunciato che la comunicazione dello stop sarà effettivo, con alcune eccezioni, entro il 15 novembre ed effettiva dal 22 novembre.

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La decisione. 
Ad annunciare la decisione il numero uno del social media Jack Dorsey, che ad un anno dalle elezioni presidenziali americane del 3 novembre 2020 prende una posizione netta e decisamente diversa da Facebook, con Mark Zuckerberg fautore di un approccio più morbido, a costo di attirarsi le critiche più feroci «Abbiamo preso la decisione di bloccare tutte le inserzioni pubblicitarie perchè la pubblicità su internet è molto potente ed efficace, ma comporta significativi rischi politici laddove può essere usata per influenzare voti», ha affermato Dorsey, spiegando come questo non abbia «nulla a che fare con la libertà di espressione»: «Ha a che fare con il pagare» per raggiungere un pubblico più ampio possibile, e questo - ha aggiunto - ha significative ramificazioni che l'architettura democratica di oggi potrebbe non essere in grado di gestire
». Del resto quanto accaduto con le presidenziali Usa del 2016, ma anche nel corso delle campagne elettorali in tanti Paesi europei e del mondo occidentale, hanno da tempo posto il problema del ruolo dei social network nei processi elettorali in primissimo piano, con Facebook e Twitter finiti spesso sul banco degli imputati.

Twitter e Facebook. Ora Dorsey, alle prese con un difficile rilancio di Twitter, vuole voltare definitivamente pagina, a differenza di Zuckerberg che ancora pochi giorni fa è stato duramente contestato in Congresso. Dopo Usa 2016 l'amministratore delegato di Twitter aveva già varato una stretta, iniziando a chiedere agli inserzionisti di verificare la loro identità e pubblicando una banca dati degli spot politici ed elettorali presenti sulla propria piattaforma. E di recente vietando le pubblicità sponsorizzate da organismi sostenuti da governi, una risposta in particolare alle fake news circolate sulle proteste ad Hong Kong e favorite da media sostenuti da Pechino. È inevitabile che adesso la decisione di Twitter metterà ancora più pressione su tutti gli altri social media. Anche se Zuckerberg ha continuato a difendere la sua linea: Facebook è nata per dare voce a tutti e si schiera dalla parte della libera espressione. Dunque la soluzione non è vietare ma regolare e vigilare. E nel quartier generale di Menlo Park opera oramai in pianta stabile una sorta di 'war room' dove una task force di esperti prova a controllare tutti i contenuti che passano sulla piattaforma di Facebook, soprattutto a ridosso di importanti elezioni.

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Hilary Clinton: è la cosa giusta da fare.
«Questa è la cosa giusta da fare per la democrazia in America ed in tutto mondo. Che cosa dici Facebook?». Così Hillary Clinton approva la decisione dello Ceo di Twitter, Jack Dorsey, di fermare dal mese prossimo la pubblicità politica a pagamento dalla sua piattaforma ed allo stesso tempo sfida i vertici dell'altro gigante dei social media a seguire l'esempio. Il tweet di Clinton - che più volte ha imputato in parte la sua sconfitta elettorale nel 2016 al fatto che i social media non hanno fermato la disinformazione e le fake news su di lei che dilagavano sulle loro piattaforme - segue infatti di poche ore uno precedente in cui l'ex candidata democratica criticava il fatto che Facebook permetta ai candidati di cariche politiche di pubblicare spot che non vengono sottoposti ad un 'fact-checking', una verifica dei fatti.

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