La città fragile che inghiotte anche il futuro dei suoi studenti

di Davide Morganti
Venerdì 22 Novembre 2019, 08:00
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A dire il vero non sta piovendo solo su strade, case, strade, scuole, genitori, auto e alunni ma anche sui programmi scolastici che in questo mese di novembre sono sprofondati sott'acqua senza alcun urlo, senza che se ne parlasse ne bar o in tivvù, quasi un'appendice silenziosa della vita di una città.

Napoli e provincia si sgretolano con la loro incuria che è storica ma appare ormai naturale e nelle aule l'affanno degli insegnanti è continuo perché la didattica tra allerta meteo (in alcuni casi anche allerta creolina, che in questo periodo cade con la stessa frequenza delle piogge autunnali) e invocazioni di maltempo e previsioni gialle-arancioni-verdi-nere hanno portato a una precarietà anche nella tabella di marcia di un insegnante.

In questi giorni alcuni ricorrono, là dove possibile, a sintesi, a salti temporali, a sinossi di alcuni argomenti, altri invece (si pensi a matematica) devono rallentare augurandosi che non ci siano alluvioni, epidemie influenzali, sprofondamenti, apocalissi di media dimensione a ridurre ancora. Vero è che oggi si ha una maggiore libertà di movimento nella scelta degli argomenti e spesso, specie nel biennio, a rallentare i programmi non sono le piogge e i venti ma l'incapacità di comprendere un testo - questa però è un'altra catastrofe.

Non dimentichiamo che si avvicina dicembre, il mese della settimana dello studente, il mese che si porta dentro l'eco delle occupazioni passate, il mese dove si studia e si pretende leggerezza perché si avvicina il Natale. 

Un calvario, dunque, queste settimane finali del 2019: scuole chiuse, genitori che protestano per scuole precarie, alunni che organizzano assemblee e manifestazioni; un caos dove chi ne paga le conseguenze è proprio l'euforico studente il quale, come una sentinella, non ha gli occhi sui libri ma volge lo sguardo verso le finestre nella speranza ci siano nuvole che portino temporali ogni tuono, ogni fulmine è un invito a credere nell'imminenza di un annuncio: domani, per allerta meteo, le scuole saranno chiuse. 

A casa si è distratti dal maltempo, basta una pioggerellina per guardare di continuo il sito ufficiale del Comune di Napoli e lo studio soccombe di nuovo. Compiti in classe da svolgere, interrogazioni, prove di laboratorio, esami esterni sono un pensiero fisso del docente costretto a affannose lezioni per cercare di rammendare il tempo scolastico; si parla sempre di danni alle strutture (si pensi a Venezia, caso più clamoroso) che lo Stato deve riparare stanziando centinaia di milioni ma i danni che ogni studente riceve (mettiamo da parte chi ritiene non serva a nulla la scuola) nessuno li calcola, al massimo si annuncerà che i duecento giorni di frequenza verranno recuperati per otturare alla buona questa voragine. Che sia liceo, tecnico o professionale la fatica della scuola sta nei doveri che ha e nei disagi che vive, si parla e si strepita sempre e solo su cose e di cose; verso i giovani non c'è lo stesso stato d'allarme che suscita un palazzo che rischia di cadere: i ragazzi devono andare a scuola perché i genitori devono lavorare, perché danno fastidio a casa, perché non sai a chi lasciarli - sono spesso secondari rispetto alle esigenze collettive. 

Di questo autunno così piovoso resterà nella memoria la pioggia e l'allerta meteo ma le pagine, gli argomenti, gli incontri, le discussioni, le domande che mai saranno apparterranno ai non nati. Non ci sono, non esistono. Le prossime piogge, dunque, bisognerebbe rammentare che non cadono solo sui palazzi e le strade che si squarciano ma pure sui giorni dei nostri figli, anche se nessuno mai invocherà lo Stato per riparare quei giorni persi.
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