Aldo Balestra
Diritto & Rovescio
di

Erika, dal sangue della madre
al bianco delle nozze

Erika De Nardo nel periodo di detenzione a Brescia, durante una gara di volley all'esterno del carcere
Erika De Nardo nel periodo di detenzione a Brescia, durante una gara di volley all'esterno del carcere
di Aldo Balestra
Sabato 30 Novembre 2019, 17:51 - Ultimo agg. 20:38
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«Erika De Nardo si è sposata. Don Mazzi: nuova vita» (Ansa, 22 novembre 2019, ore 22.18)
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Non è una storia per suscitare curiosità in chi ricorda quell'orrendo delitto del 2001 come fosse ora. O chi lo scoprirà leggendo qui e adesso. E' stato uno dei recenti, più cruenti omicidi italiani. E nemmeno stiamo a ragionare di perdono, bontà, sentimenti, del perchè e per come. No, la nuova vita di Erika, la donna 34enne che quando aveva 16 anni uccise, insieme al fidanzatino Omar, la madre e il fratellino, massacrandoli a coltellate nella casa di Novi Ligure, può raccontarsi per evidenziare un altro aspetto: quello della rieducazione, quasi sempre obiettivo clamorosamente mancato per la crisi del logoro sistema carcerario italiano. La rieducazione del condannato come obiettivo della pena, un principio sancito dalla Costituzione che si cita come la più bella del mondo; la rieducazione che, in questo caso, è stata in grado di riportare ad un livello di sopportabile normalità anche chi, come Erika, s'è sporcata le mani del sangue della madre e del fratellino.

Erika De Nardo, lo ha raccontato Don Mazzi ad Oggi, si è appena sposata, «ha una nuova vita. Ha maturato la giusta consapevolezza sulla tragedia, quella che permette di continuare a vivere. Il padre è stato molto importante in questo processo», dice il sacerdote fondatore di Exodus, la comunità che ha ospitato la giovane durante e dopo la detenzione.

Da tempo Erika ed Omar sono usciti dal carcere, non stanno più insieme, quella tremenda storia che li aveva uniti in un terribile patto di sangue li ha subito divisi, hanno un nuova vita, l'una diversa e lontana dall'altra. Ciò che è stato in quella villetta di Novi Ligure fu atroce, incancellabile nel dolore e nel ricordo. Francesco, il padre di Erika, a cui una sera la figlia cancellò il resto della famiglia in un bagno di sangue, dovette necessariamente aggrapparsi all'unico brandello familiare che gli era rimasto: Erika, appunto. Per la giustizia degli uomini lei e Omar hanno pagato, com'era giusto che fosse, secondo le leggi dello Stato. Ben 96 le coltellate inferte alla mamma Susi e al fratellino undicenne Gianluca, una mattanza pianificata con Omar come atto di sorda e feroce ribellione di una sedicenne alla genitrice, alle regole (normalissime) della casa. 

Erika condannata a 16 anni (Omar a 14), il carcere, i benefici dell'indulto e della buona condotta poi, il diploma e la laurea con 110 con lode in Filosofia ottenuti mentre era in cella. La riflessione. La partecipazione attiva alle attività carcerarie. La libertà. L'elaborazione completa dell'accaduto, quella che Don Mazzi definisce la «consapevolezza», da non intendersi come «rimozione». Ogni altra considerazione appare non giusta, non composta, non credibile. Qui interessa constatare che ogni vita che ricomincia fuori dal carcere è vita nuova, vita vinta. Rifletta chi pensa che tutto debba necessariamente finire quando si varca la porta di una cella, anche per un delitto orrido come quello di Erika, che uccise senza pietà la mamma e il fratellino.
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«​I principi che debbono dirigere il legislatore son quelli di un padre e di una madre, e non quelli del padrone e del tiranno» (Platone)
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