Authority, stallo sulle nomine. E deleghe ferme nei ministeri

Authority, stallo sulle nomine. E deleghe ferme nei ministeri
Authority, stallo sulle nomine. E deleghe ferme nei ministeri
di Alberto Gentili
Mercoledì 18 Dicembre 2019, 09:01 - Ultimo agg. 09:02
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ROMA Nulla. Neppure sulla spartizione delle poltrone, che a giudizio dell'anti-politica è il core business della politica, la maggioranza rosso-gialla riesce a trovare un'intesa. La prova: il Senato ieri ha rinunciato, per l'ennesima volta, a eleggere i membri per l'Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) e per l'Authority garante della privacy. Se ne riparlerà a gennaio.

Giuseppe Conte, d'accordo con gli azionisti di governo, ha però deciso di mettere a frutto il nuovo rinvio che costringe da giugno (data della loro scadenza) Antonello Soro e Angelo Marcello Cardani a disfare mese dopo mese gli scatoloni: venerdì il Consiglio dei ministri, a meno di sorprese, varerà un decreto per rendere omogenee le governance delle due Authority, adottando il meccanismo di nomina dell'Agcom. Obiettivo primario: superare il sistema attuale che prevede che alla presidenza dell'Autorità garante della privacy vada il più anziano dei consiglieri. E impedire che il successore di Soro diventi Ignazio La Russa (Fratelli d'Italia) che in ottobre, quando sono stati riaperti i termini per la presentazione dei curricula, è corso a proporre la propria candidatura. «Una situazione paradossale», dicono a palazzo Chigi, «non può essere l'anagrafe, ma la politica a dettare le scelte. E il decreto metterà la cose a posto».

Come? Così come già avviene per l'Agcom, anche il Garante privacy sarà scelto dal governo, ma diventerà operativo solo dopo il parere favorevole dei due-terzi della commissione Affari costituzionali (per l'Agcom è la commissione Lavori pubblici). «Al momento però non ci sono candidati definiti, manca ancora l'accordo», allarga le braccia un esponente di Italia Viva. Ma un abbozzo di spartizione c'è: al Pd dovrebbe andare la presidenza dell'Agcom e ai 5Stelle quella della Privacy. I nomi dem: Pier Carlo Padoan e Claudio De Vincenti. Quello grillino: Emilio Carelli. L'intesa, comunque, non si è rivelata «matura».

LE AGENZIE FISCALI
Lo stallo rosso-giallo, frutto avvelenato dei dissidi interni, si estende a macchia d'olio. Incapace di raggiungere un accordo e di sfruttare perciò il meccanismo dello spoil system, il governo non ha provveduto al ricambio dei vertici delle tre agenzie fiscali: Demanio, Entrate e Dogane. La ragione: Luigi Di Maio voleva confermare Antonino Maggiore alle Entrate, Matteo Renzi invece voleva riportarvi Ernesto Maria Ruffini. E' finita, per ora, con un nulla di fatto. E un'altra infornata di interim.

Ma c'è di più. C'è che a quasi quattro mesi dall'insediamento, in ben tre ministeri non sono state ancora assegnate le deleghe ai sottosegretari. Agli Esteri e alle Infrastrutture per ritardi legati «ad alcuni passaggi burocratici». Traduzione: manca la firma dei ministri Di Maio e Paola De Micheli. «L'intesa è stata raggiunta», garantiscono alla Farnesina e al dicastero di Porta Pia. Allo Sviluppo economico la paralisi è invece il riflesso del braccio di ferro che blocca da un paio di mesi le nomine in Rai dei direttori di Rete e dei tiggì: Pd e 5Stelle litigano per accaparrarsi la delega di sottosegretario alle Comunicazioni che controlla, appunto, viale Mazzini.

L'AVVOCATA GRILLINA
E' invece andato in porto, nonostante un forte ritardo, il Risiko per Invitalia: confermato l'amministratore delegato Domenico Arcuri, sostenuto dal premier Giuseppe Conte, e nominato presidente Andrea Viero su indicazione del Pd. I grillini hanno resistito per un po', poi si sono accontentati di piazzare nel Cda di Invitalia l'avvocato Paola Ciannavei, che ha tutelato in più occasioni gli interessi dei 5Selle ed è sorella di Andrea Ciannavei, nel cui studio legale ha sede l'Associazione M5S.

Se a Conte riuscirà la «ripartenza» promessa a gennaio e se il governo resterà in piedi, in primavera si giocherà la madre di tutte le battaglie: in palio ci sono circa 150 poltrone. E di peso ben superiore a quelle per le quali i rosso-gialli non sono stati in grado di mettersi d'accordo. Si parla delle partecipate del Tesoro Eni, Enel, Poste, Leonardo, Fincantieri, Enav e Terna. Il vero deterrente per la crisi e le elezioni anticipate.
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