Falsi incidenti a Napoli, il tariffario della truffa: «Al giudice 500 euro per ogni causa»

Falsi incidenti a Napoli, il tariffario della truffa: «Al giudice 500 euro per ogni causa»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 9 Gennaio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 16:09
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Esisteva un vero e proprio tariffario dietro l’ultima frontiera delle truffe assicurative.  È questo lo scenario che emerge dalla misura cautelare firmata dal gip del Tribunale di Roma, al termine di una inchiesta iniziata a Napoli (all’epoca indagava il pm Luigi Alberto Cannavale) poi passata nella Capitale di fronte al coinvolgimento di due giudici di pace di Sant’Anastasia. 

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Si parte da un’ipotesi di associazione per delinquere, che vede coinvolti medici, magistrati onorari e avvocati. 
Un’organizzazione che sarebbe stata retta dall’avvocato Ciro Gioia, da due giorni in carcere come presunto capo del sistema. Diverse le ipotesi di truffa e falso passate al setaccio in questi due anni dagli inquirenti della Procura di Roma, alla luce di intercettazioni telefoniche e ambientali, ma anche di filmati, che hanno immortalato il giro di soldi e il maneggio di pratiche per gli indennizzi di sinistri automobilistici completamente fasulli.
 


Ma restiamo all’aspetto economico. In più di una occasione, gli inquirenti sono convinti che il giudice Luigi Esposito (nato a Cercola, nel 1965, soltanto omonimo del giudice togato per anni gip nel Tribunale di Napoli, ndr), avrebbe intascato delle mazzette per favorire l’esborso di indennizzi da parte del fondo vittime della strada. Cinquecento euro per ogni pratica che andava a buon fine, secondo la ricostruzione investigativa. Difeso dal penalista Ciro Sepe, il giudice - che da due giorni è agli arresti domiciliari - si dice pronto a dimostrare la correttezza della propria condotta e a respingere le accuse vibrate dalla Procura di Roma. 
Ma come funzionava il sistema? Secondo le accuse, tutto ruotava attorno allo studio di Gioia, che aveva trovato il modo di costruire a tavolino richieste di rimborso per incidenti mai avvenuti. 
Richieste seriali, sovrapponibili, quasi sempre contro pirati della strada, come hanno messo in rilievo i penalisti Mario e Luigi Tuccillo, in una denuncia volta a tutelare gli interessi del fondo vittime per la strada. 

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È in questo scenario che l’attenzione cade sul cancelliere a Sant’Anastasia Raffaele Rea (difeso dai penalisti Antonio De Simone e Vincenzo Maiello), e sul figlio Domenico, ritenuti capaci di far finire le pratiche dei finti sinistri sulla scrivania del giudice giusto. Anche per loro - a leggere i capi di imputazione - ci sarebbe stato un compenso economico, dal momento che le «promesse di denaro accettate» variavano dalle duemila alle quattromila euro. Una truffa di oltre un milione e mezzo di euro. 

Un pozzo senza fondo, per il quale sono finiti agli arresti domiciliari anche professionisti in carriera: è il caso di Adele Di Matteo (difeso dal penalista Giorgio Scognamiglio); e del medico di Mohamed Chamalieh, specialista in ginecologia con studio all’Arenella, ritenuto responsabile di aver contribuito a rilasciare documenti sanitari (tipo tac o altre forme di accertamenti) risultati decisivi per truffare le compagnie di assicurazione. 
Sono oltre venti gli indagati, tutti coinvolti in quella che gli inquirenti non esitano a definire una sorta di messinscena. C’erano persone disponibili a sostenere di essere state investite da pirati della strada, altre che raccontavano di aver visto tutto, in modo da sostenere con la propria testimonianza un sistema consolidato. Ma restiamo ai referti medici. Ginocchia lussate, spalle o braccia fratturate. Tutto falso. 

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Sono i documenti con cui era possibile imbastire la richiesta di indennizzo, sempre e comunque a spese delle compagnie di assicurazioni e del fondo vittime della strada. Centinaia le intercettazioni finite agli atti. 
Dice Ciro Gioia a un proprio collaboratore: «Io saccio campà...», dopo aver appreso dello sbocco di una propria richiesta di indennizzo, facendo capire di aver lasciato «a terra» almeno mille euro destinate ad oliare la procedura. E anche in altre conversazioni, c’era chi si vantava della presenza di questo quel giudice, per chiudere i conti di indennizzi e staccare assegni per sinistri mai avvenuti. Ed è uno dei passaggi su cui la difesa dei magistrati coinvolti (oltre ad Esposito, è indagato un altro giudice di pace per il quale è stata respinta la richiesta di domiciliari), che puntano a dimostrare la propria estraneità rispetto alle millanterie di faccendieri senza scrupoli. Una vicenda che ora scava anche su altre richieste di risarcimento, su altri documenti finiti finora sotto sequestro.
 

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