«Sfrattata dai pusher della camorra a Napoli, con la sanatoria avranno l'alloggio»

«Sfrattata dai pusher della camorra a Napoli, con la sanatoria avranno l'alloggio»
di Daniela De Crescenzo
Venerdì 17 Gennaio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:09
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«Non tornare a Napoli, la tua casa serve al Sistema, dobbiamo aprire una “piazza” per spacciare droga»: nel 2013 B.M. è stata cacciata dal clan Mele dall’abitazione di Pianura che le era stata assegnata dal Comune. Non si è rassegnata e ha denunciato i camorristi che poi sono stati condannati. Il Comune di Napoli le ha assegnato un nuovo alloggio. Ma dopo qualche mese la casa contesa è stata nuovamente occupata da persone legate al clan. E adesso, grazie alla sanatoria varata dalla Regione, gli abusivi potranno ottenere legalmente quello che non erano riusciti a conquistare con le armi.

Il racconto di B.M. la protagonista della storia, sembra arrivare direttamente da Gomorra. Ma, purtroppo, questa non è una fiction. «Il 6 maggio del 2013 ero andata a Modena per festeggiare la festa della mamma. La sera mi telefonò mia cognata spiegandomi che Antonio Calone era andato a casa sua e, minacciandola con una mitraglietta, le aveva chiesto le chiavi della mia abitazione. Lei, fortunatamente non le aveva, ma qualche ora dopo aveva visto le luci delle mie stanze accese. Ho pianto tutta la notte, mi sono sentita male, poi mio marito e mio figlio sono partiti per Napoli».

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Quello che è successo dopo è scritto nell’esposto presentato dalla donna ai carabinieri: i due uomini, arrivati in città, trovarono la casa occupata e vennero convocati nel bunker del quadrilatero dello spaccio. Qua furono accompagnati in uno scantinato blindato dove Antonio Calone, uomo dei Mele, mostrò una pistola e una mitraglietta e avvertì: «La casa adesso è del Sistema: ci serve e voi ve ne dovete andare».
Ma B.M non si diede per vinta e, nonostante le minacce, tornò a Napoli dove incontrò la donna del boss, quella che era entrata nella sua casa al seguito degli uomini armati: «Mi avvertì che stavano portando via le mie cose dall’appartamento – racconta B.M. - Sei emigrante e per la nostra legge le case vuote non ci devono stare, mi avvertì. Ma io ero solo andata a trovare i miei figli, non avevo nessuna intenzione di trasferirmi. Quindi andai dai carabinieri».
 
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Per ottenere giustizia la donna si rivolse all’associazione Sos Racket e venne affiancata dall’avvocato Alessandro Motta che la ha poi rappresentata nelle aule giudiziarie. Nel 2017 la condanna nei confronti di Giuseppe e Salvatore Mele, Antonio Calone e altre cinque persone. «I malviventi sono stati condannati – racconta B.M – e io adesso vivo nel terrore aspettando il momento in cui usciranno dalla galera». Intanto il Comune, rispondendo alle richieste dell’Associazione Antiracket, le ha assegnato una nuova abitazione: nella vecchia la donna non poteva più vivere perché si sarebbe trovata a contatto con i parenti delle persone che aveva fatto arrestare. «Ma non era solo una questione di sicurezza – racconta B.M. - La sola idea di toccare i miei mobili, le mie cose che erano finite in quelle mani losche mi faceva stare male».
 


E così le stanze a lungo contese restano vuote. Passa un mese, passa un anno, Poi la nipote di una delle condannate, sfonda la porta e si impossessa della casa già assaltata. «Sembra assurdo – commenta la vittima – ma è andata proprio così: alla fine, nonostante le denunce, le indagini, il processo e la galera, il clan è riuscito a entrare in possesso della mia casa». E adesso con la recente sanatoria l’abusiva potrà anche ottenere l’assegnazione.

L’avvocato Alessandro Motta spiega: «La mia assistita è una persona onesta che ha denunciato e ottenuto condanne anche grazie all’affiancamento dell’associazione Sos racket e all’intervento del sindaco. E questo non sempre accade. Ma purtroppo abbiamo saputo che recentemente i parenti dei condannati hanno rioccupato l’appartamento e attualmente ci vivono dentro: è incredibile». E il responsabile dell’associazione antiracket, Luigi Cuomo, rincara la dose: «Nonostante il coraggio dei cittadini che si espongono in prima persona, alcune istituzioni preposte alle assegnazioni delle case pubbliche guardano altrove e non certo nella direzione della legalità e della giustizia».
 

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