L'arcivescovo ribelle Viganò irriconoscibile e in incognito va a Monaco a un sit-in di protesta

L'arcivescovo ribelle Viganò irriconoscibile e in incognito va a Monaco a un sit-in di protesta
di Franca Giansoldati
Domenica 19 Gennaio 2020, 15:30 - Ultimo agg. 2 Marzo, 01:27
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Città del Vaticano - Barba lunga e bianca, decisamente irriconoscibile da come era qualche anno fa, occhiali più spessi, sguardo circospetto, il cappuccio della giacca a vento sulla testa per nascondersi meglio, l'anello vescovile in bella mostra. La sua prima immagine pubblica circolata dopo tanto tempo è stata ripresa per caso, da un passante, a quattro anni dalla bufera che lo ha investito dopo avere accusato Papa Francesco di eresia, invitandolo persino a dimettersi. Monsignor Carlo Maria Viganò osservato a distanza sembra quasi un'altra persona, evidentemente provato dal periodo in cui si è dovuto nascondere per sfuggire a fotografi e giornalisti di mezzo mondo pronti a braccarlo per avere una intervista. Nel periodo in cui era sparito dalla circolazione, dopo l'accusa al Papa, faceva filtrare agli amici che si era dovuto rifugiare in un luogo segreto, probabilmente all'estero - forse in Svizzera - perché temeva per la sua vita.



La fotografia dell'arcivescovo ribelle è stata scattata a Monaco di Baviera due giorni fa durante una manifestazione di protesta da parte di un gruppo di ultra conservatori. Il sit in – rosario in mano e preghiere collettive – è stato organizzato per mettere in discussione il vento riformista intrapreso dalla Chiesa tedesca, impegnata in un percorso biennale di cambiamenti per avvicinare l'istituzione ecclesiastica alle persone attraverso modifiche al celibato ecclesiastico, al ruolo delle donne nella Chiesa, ad una maggiore trasparenza.

Temi esplosivi che stanno spaccando in due l'episcopato. A portare avanti questo cammino riformista è il cardinale di Monaco, Marx, deciso ad ascoltare la base delle comunità cattoliche e a dare risposte al fenomeno sociologico dell'allontanamento della gente alla fede. In Germania sono sempre di più le persone che chiedono di abbandonare i registri di iscrizione al cattolicesimo, non solo per non pagare le tasse previste a sostegno della Chiesa, ma perché ormai ritengono l'istituzione uno strumento ormai arcaico e da collocare nel passato. I sondaggi effettuati e le proiezioni statistiche che sono state fatte non lasciano ben sperare. 

Carlo Maria Viganò due giorni fa era in piazza con i manifestanti. Nella fotografia si vede che sta parlando con il professor Roberto De Mattei, uno storico della Chiesa noto per le sue posizioni anti-bergogliane. Dietro di loro si intravede anche una piccola telecamera.

Il caso Viganò è esploso con la famosa lettera di accusa al Papa di aver taciuto sulle orribili vicende pedofile del cardinale McCarrick, anche se poi Papa Francesco - alla fine - lo ha tolto dal collegio cardinalizio e persino 'spretato'.

Le traversie di Viganò iniziano però sotto il pontificato di Benedetto XVI quando fu costretto, dietro le pressioni dell'allora segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ad accettare il trasferimento forzato dal Governatorato alla nunziatura a Washington. Una specie di promoveatur ut amoveaur. Tutta colpa delle guerre intestine in Vaticano e degli interessi che nel frattempo aveva scoperchiato Viganò al Governatorato, un centro nevralgico per i grandi appalti, le promozioni, i piccoli interessi di bottega.

Papa Ratzinger lo stimava molto ma era troppo debole per difenderlo e così gli chiese il favore personale di trasferirsi negli Stati Uniti. E' lì che, in seguito, avrebbe puntualmente informato il Vaticano sul vizietto di McCarrick di correre dietro le sottane dei giovanissimi seminaristi. Un particolare al quale inizialmente nessuno credette a Roma perchè l'allora cardinale di Washington era potentissimo ma soprattutto munifico nei confronti della curia romana, alla quale non faceva mancare ingenti appoggi finanziari, grazie ad una rete di benefattori americani. 

Una volta tornato in Italia, dopo la parentesi americana, nel 2015, Viganò sperava di potersi fermare definitivamente in Vaticano nell'appartamento di servizio che gli era stato precedentemente assegnato. Ma, ancora una volta, gli intrighi curiali ebbero la meglio, e quell'appartamento fu assegnato ad un'altra persona e l'arcivescovo fu sfrattato. Un passaggio che lo ha umiliato particolarmente e probabilmente lo ha portato ad assumere atteggiamenti ancora più oltranzisti e critici.

Nel frattempo veniva anche fuori una brutta vicenda giudiziaria riguardante l'eredità della sua famiglia che era assai facoltosa. Il Tribunale di Milano nel 2018 ha ordinato a Viganò di pagare (a fronte di una domanda giudiziale di divisione di beni mobili e immobili con il fratello gesuita, don Lorenzo Viganò), l’importo di 1,8 milioni, di euro a fronte di una richiesta iniziale – giudicata dai magistrati irreale - di don Lorenzo Viganò, di quasi 40 milioni. Viganò una volta saldati tutti gli importi stabiliti dalla sentenza, libero da ogni vincolo, si è dedicato a portare avanti la sua battaglia per la verità. Fino alla decisione di sparire dalla circolazione e ricomparire due giorni fa a Monaco, a fare un sit int di protesta, contro l'abolizione del celibato ecclesiastico e il sacerdozio femminile. 

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