Napoli, ecco perché Gattuso
può diventare il nuovo Comandante

Napoli, ecco perché Gattuso può diventare il nuovo Comandante
di Marilicia Salvia
Lunedì 27 Gennaio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 28 Gennaio, 13:27
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Ringhio forever, ovvero come distruggere la memoria di Ancelotti e disintegrare il mito di Sarri in sole due mosse. Due partite, due scintille, un poco di cazzimma e il gioco è fatto: tutti pazzi per Gattuso, lancia in resta e ripartiamo, andiamoci a ripiglia’ quello che è nostro. Ebbene sì, diteci pure che siamo i soliti napoletani tutto cuore e casino, quelli che senza il Masaniello di turno non sanno stare, quelli che preferiscono l’uovo di oggi alla gallina di domani: ditelo che solo dei folli possono esultare per una sola singola vittoria neanche avessero vinto lo scudetto, e che questa nostra tendenza a entusiasmarci per un niente, a innamorarci di un sogno resterà la nostra condanna. Ce le ricordiamo bene le bacchettate ricevute quando invece di riservare cura e attenzione al Grande Lavoro di Prospettiva del vate Ancelotti perdevamo tempo a perorare la causa dell’allora comandante Sarri, stranamente malvisto nelle brume londinesi. Sarri l’allenatore operaio, Sarri della bellezza che batte i freddi numeri, Sarri sognatore e trascinatore di popoli. La storia ci ha dato clamorosamente torto sull’uomo, ma la sostanza resta: tra Napoli e il Napoli, tra la città e la squadra non c’è differenza, il cervello non funziona se non c’è la spinta dell’anima. Napoli e il Napoli che s’impantanano tra gli ostacoli dell’ordinaria amministrazione. Ma che quando il gioco si fa duro si esaltano e non ce n’è per nessuno. Meno che mai per un mister ripudiato con la stessa forza con cui lo si è incondizionatamente amato. 

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Morto un Masaniello, a Napoli se ne fa un altro, questo a Sarri deve essere apparso chiaro nella notte della sua pubblica umiliazione, lui arrivato qui con il suo scintillante tridente immaginando di infilzarci senza pietà, perché ci rimanesse incisa sulla pelle la nostra eterna ammirazione e il conseguente infinito rimpianto. Deve aver sottovalutato, il bagnolese per caso, l’effetto detonatore che la sofferenza prolungata, la latitanza di risultati e soprattutto l’assenza, per diciotto lunghissimi mesi, di un trascinatore degno della nostra epica spavalderia avrebbero scatenato, una volta a contatto con il Traditore schierato dalla parte del Nemico. Non ha capito quello che avevamo intuito tutti, e che il risultato di domenica ha finalmente ufficializzato: Masaniello è tornato, si mette la giacca sotto un total black e ha una faccia che sembra triste anche quando vorrebbe sorridere, e al suo comando non solo ci sentiamo più forti, e magari lo siamo davvero, ma soprattutto abbiamo riscoperto in quattro e quattr’otto l’orgoglio, l’identità, il senso dell’appartenenza.
 
 

Ringhio e il suo veleno, l’equivalente delle «facce di hazzo» che il toscano voleva ballassero davanti ai mostri sacri del Real Madrid, e che domenica sera hanno ballato, vendetta tremenda vendetta, davanti ai suoi uomini imbambolati. Ringhio che azzecca i cambi e alla fine della partita abbraccia tutti, non come quello che masticava gomme, che s’infilava dritto negli spogliatoi. Ringhio che chiede scusa per una prestazione che arriva a far piangere i bambini in diretta tv, ammette che si è toccato il fondo, ma poi le maniche se le rimbocca davvero, e finalmente quei bambini li fa tornare a festeggiare. Ringhio che non mangia mozzarelle e non se ne va in giro per musei, non si riempie la bocca con la bellezza di Napoli: semplicemente lavora e fa lavorare i suoi, è concreto e lucido, è rabbioso ed energico, e davvero si fa fatica a immaginarlo figlioccio di quel leader calmo di cui incarna (per fortuna) l’esatto opposto.

Magari è vero, il presidente ha fortuna nell’individuare gli allenatori adatti al suo Napoli e alla città, e la scelta di Ancelotti è stata la classica eccezione alla regola: troppo blasé, troppo imperturbabile, troppo famoso, troppo uomo di Palazzo per piacere a un popolo che contro i re prima o poi ha sempre fatto la rivoluzione. E certo due vittorie consecutive, sia pure dopo mesi di buio e balbettii, sono ancora poche per dire con certezza che il peggio è alle spalle. Ma intanto abbiamo battuto la Juventus, e niente lo lasciava immaginare, e chissà se con l’altro, il Re di Coppe, ci saremmo riusciti. Non sono presuntuoso ma sono bravo, ha commentato domenica sera Ringhio, e il bello è che l’ha detto con la faccia seria: un’altra di quelle frasi destinate al linguaggio social, di quelle che «fanno» il personaggio, e d’altra parte è difficile definire presuntuoso uno che ammette senza problemi di fare spesso copiaincolla delle tattiche sarriste. Non sarà gioia e rivoluzione, ma può andarci molto vicino: il passato è passato, i conti sono stati regolati. E finalmente il tempo tra una partita e l’altra è tornato l’attesa curiosa e un po’ febbrile di uno spettacolo, di una sfida che contempla anche il divertimento, non l’angoscia di una sentenza capitale. Il calcio è tornato a Napoli, i brocchi sono di nuovo schegge, l’allenatore un valoroso condottiero, e tutto è ancora possibile. Chi l’avrebbe detto, non un mese ma una settimana fa.
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