Rocco Hunt: «Oltre il confini del rap, io orgoglioso del dialetto»

Rocco Hunt: «Oltre il confini del rap, io orgoglioso del dialetto»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 5 Febbraio 2020, 08:45
4 Minuti di Lettura
«Non è mai successo che un rapper, tantopiù campano, raddoppiasse una data al Palapartenope senza sedie. Già, perché quando abbiamo capito che la richiesta era forte abbiamo deciso che si poteva far seguire lo show in piedi, cosa che permette anche di muoversi e di ballare, poi però siamo andati in sold out, così alla prima data del 3 aprile ne abbiamo aggiunta una seconda, il 23 maggio, e stanno andando a ruba anche quei biglietti». Rocco Hunt è comprensibilmente orgoglioso del suo primato, mentre prepara questo «Libertà tour» che partirà proprio da Napoli, prima di far rotta su Roma, Bologna e Milano, per concludersi - a meno di nuove tappe - di nuovo a Napoli.
Allora, Rocco: ti sei tolto una bella soddisfazione. All'inizio il tuo live era annunciato alla Casa della Musica. «È vero, è andato sold out in pochi giorni, così ci siamo spostati al Palapartenope, poi abbiamo registrato il tutto esaurito anche lì e deciso di fare il bis... l'anno scorso di questi tempi battevo le piazze, non mi potevo certo permettere 5-6000 spettatori a pagamento in una sola serata. Il disco sta funzionando, il mio nuovo percorso è piaciuto, ed ora ci sono questi concerti in cui voglio dare il meglio di me».

«Libertà» per te è stato un disco importante, addirittura preceduto da drammatiche dichiarazioni di ritiro. Come saranno gli spettacoli con le canzoni del tuo ultimo album?
«Il tour è un cantiere aperto, ho buttato giù tante idee, tanti spunti, ma non ho ancora deciso la struttura dello spettacolo. Oltre a Valerio Nazo in console avrò una vera band: chitarra, tastiere e batteria».

Stai mostrando un nuovo aspetto della tua creatività, più melodico, in sintonia con quanto accade nella scena newpolitana, anch'essa un cantiere aperto, più che mai propensa a crossover e invasioni stilistiche di campo.
«Proprio così, mi sento come se avessi attraversato le colonne d'Ercole del rap e stessi navigando in un mare aperto, un'avventura pericolosa ma interessantissima. 'Stu core t'appartene ha mostrato un Rocchino inedito, o quasi, presentandomi a un nuovo pubblico, più giovane».

Ma hai appena 25 anni, possibile che anche tu debba affrontare il ringiovanimento della platea?
«Diciamo che gli incontri con Geolier e Nicola Siciliano mi hanno introdotto in fasce che, per età e magari anche per interesse, non ascoltavano l'hip hop puro. E che io, sempre restando il rapper di sempre, ho allargato lo sguardo e il racconto. Non rinuncio ad essere il megafono di un malessere che ho vissuto sulla mia pelle, ma non voglio nemmeno fingere di essere ancora in quella condizione svantaggiata, di non avere altro da cantare. Dopo il Rocchino di Nu juorno buono c'è il Rocco di Ti volevo dedicare. In fondo, mi sento nella scia di Pino Daniele, di Enzo Avitabile, della loro capacità di essere grandi anche perché sempre pronti a valorizzare le nuove onde napoletane».

A proposito: prima ti chiedevano di cantare in italiano, ora il dialetto sembra sdoganato in classifica.
«Sì, e credo che Libertà abbia dato il suo contributo, come Liberato, come Gomorra, forse. Oggi è cool, è figo, in tutta Italia e anche in quel Nord che ogni tanto si riscopre ancora razzista nei confronti di noi terroni, ascoltare i ragazzi che cantano in napoletano, rapper o neomelodici che siano. Ecco, io sto cercando di tenere insieme queste due correnti, ho lasciato che la melodia e la moderna canzone popolare napoletana si aggiungessero alle mie storiche influenze. È bello vedere titoli napoletani nella top 50 di Spotify con Tha Supreme e Marracash».

Intanto impazza Sanremo, un'edizione molto rap & trap, con Junior Cally al centro delle polemiche. Che cosa ricordi dei tuoi Festival? E che cosa ne pensi di Achille Lauro e Rancore all'Ariston?
«A 15 anni pensavo che Sanremo fosse il male, se ci fosse andato qualcuno dei miei rapper di riferimento gli avrei dato del venduto. Ma all'epoca all'Ariston l'hip hop era impossibile e la mia era una reazione infantile. Dopo al Festival ci sono andato, eccome: a meno di vent'anni ho vinto tra i Giovani, la ricordi bene anche tu la faccia che avevo quella notte. Il mio juorno buono è iniziato quella notte, per quanto sembri un gioco di parole: con quelle bottiglie di champagne aperte con mamma, papà, i miei amici-collaboratori e i pochi che avevano creduto in me festeggiavamo il successo del ragazzo della Ciampa, del salernitano che era passato dal mercato del pesce ai riflettori. Quando ci sono tornato, nel 2015, con Wake up non aveva più per me la stessa importanza partecipare alla gara, eppure mi è servito anche quello e, forse, è servito anche a convincere i vari direttori artistici che l'hip hop, nelle sue mille facce, rappresenta una parte importante della canzone italiana di oggi. La pattuglia di rapper alla corte di Amadeus quest'anno è forte e bene agguerrita. La polemica su Junior Cally? Non si censurano le canzoni, tanto meno quelle vecchie e non in gara».
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