«Ogni cosa è illuminata»,
gli angeli del Colosimo
e la vita oltre il buio

«Ogni cosa è illuminata», gli angeli del Colosimo e la vita oltre il buio
di Vittorio Del Tufo
Domenica 16 Febbraio 2020, 20:00
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«Più nel buio l'anima è divina»
(scritta sulla porta d'ingresso dell'istituto Paolo Colosimo)
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Mario con il bastone può arrivare dove vuole. Gli accompagnatori hanno smesso di preoccuparsi per lui e lo lasciano camminare da solo, perché se la cava alla grande e ha voglia di spaccare il mondo, anche se due anni fa una saracinesca è calata davanti ai suoi occhi. Anche la sorella di Mario, Rosaria, è una non vedente. Pochi giorni fa ha comprato l'abito da sposa, presto si sposerà con Gaspare. Si sono innamorati nei corridoi del Colosimo, a Santa Teresa degli Scalzi. Come Giuseppe e Michela. E come altri. Sono molte le coppie nate al Colosimo. Al matrimonio parteciperanno anche Salvatore e Giuseppe, anzi stanno già preparando la scaletta; Salvatore e Giuseppe, chitarra e fisarmonica, la sera suonano in un locale di piazza Monteoliveto, alternando il repertorio di Pino Daniele a quello del repertorio classico napoletano, e quando non suonano portano gli amici a bere nei locali di piazza del Gesù, o del Vomero, che raggiungono con la metro che prendono tutti insieme al Museo.

Danilo è un leader. Lo è diventato grazie al teatro, dicono gli amici. Da quando fa teatro Danilo è rinato. Prima parlava pochissimo, anzi non parlava affatto, era completamente chiuso in se stesso. I ragazzi del Colosimo adorano il teatro. E adorano Antonio, che dell'associazione teatro Colosimo è il presidente e l'anima. Antonio ha scelto di vivere per i non vedenti da quando il miglior amico è diventato cieco, all'improvviso, in seguito a un incidente. Questa è una storia di cui Antonio preferisce non parlare. Invece si infiamma quando parla dei progetti teatrali: ora sta organizzando, con il Teatro Festival, il progetto «Quartieri di vita». Il prossimo spettacolo andrà in scena il 25 febbraio al Teatro Nuovo, si chiama Buio ed è stato scritto dagli stessi ragazzi del Colosimo in partnership con l'associazione Muricena teatro.

Maria Rosaria, 26 anni, è una non vedente e fa la modella. Giovanni, invece, a 22 anni, è campione nazionale di show down, una disciplina paralimpica simile al ping pong. È già stato in Finlandia con la nazionale, e vuole girare il mondo. Prima di Danilo il leader del gruppo era Costantino. Lo chiamavano il «filosofo», veniva da Casal di Principe. Era il portavoce del gruppo: se la bestia nel cuore, la depressione, cominciava a mordere qualcuno dei ragazzi, lui era lì, prodigo di consigli, aiutava tutti ad andare avanti, perché la vita non è solo dentro i pensieri bui, nel drappo nero che avvolge come un sudario, nelle strisce che sbarrano il cielo e la vista, ma anche nel sole caldo che continua a disegnare tenerezze su ogni foglia, su ogni volto, su ogni lacrima. Costantino, non vedente, è morto quattro anni fa, se l'è portato via una brutta malattia, è partito una mattina per Bologna e non è più tornato. Ma è sempre presente nei pensieri degli amici quelli che gli hanno voluto bene, e che spesso vanno al cimitero a portare un fiore sulla sua tomba.
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«In questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia vita» (Jonathan Safran Foer, «Ogni cosa è illuminata»).
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Colosimi è un piccolo paese della Sila, al confine tra le province di Cosenza e di Catanzaro. Colosimo è il nome di uno dei figli più illustri di quella terra, Gaspare, senatore del Regno, che fu ministro delle colonie tra il 1916 e il 1919 e per un breve periodo, nel 19, anche ministro dell'Interno. Al nome di Colosimo e di suo figlio Paolo, un giovane e brillante avvocato morto di tifo a soli 24 anni, è dedicato uno degli istituti più importanti d'Italia per l'avviamento al lavoro e la scolarizzazione dei ragazzi non vedenti e ipovedenti.

L'istituto Paolo Colosimo di via Santa Teresa degli Scalzi è oggi un punto di riferimento per le persone non vedenti e ipovedenti di tutto il Sud Italia. Nel 1916 una mamma coraggio, Tommasina Grandinetti, moglie di Gaspare Colosimo e madre di Paolo, decise di consacrare la sua esistenza a un progetto ambizioso: il recupero e l'inserimento in società dei ragazzi non vedenti. Proprio come il figlio, che aveva perso la vista in conseguenza della malattia che lo avrebbe portato alla morte. Tommasina non esitò a impegnare ingenti risorse economiche per portare avanti il progetto: entrò nel consiglio di amministrazione del «Patronato pro ciechi» e in seguito ne assunse la presidenza. Al suo fianco ci fu sempre il miglior amico del figlio scomparso, Pericle Roseo. Nel 1927 fu acquistato il primo lotto dell'attuale sede, in via Santa Teresa degli Scalzi 36.

Da quel momento l'istituto si occupò della formazione culturale e dell'inserimento dei ciechi nel mondo del lavoro, mostrando da subito già una visione moderna volta a rivendicare per il non vedente dignità di uomo e cittadino. L'istituto cominciò ad ospitare i soldati che, nel furore spietato della prima guerra mondiale, avevano perso la vista. Mediante l'invenzione di telai semimeccanici, i ciechi impararono tutte le operazioni di tessitura, montaggio e smontaggio del telaio e dei suoi elementi. Per molto tempo il medico ufficiale del Colosimo è stato Domenico Muti, il padre del grande direttore d'orchestra.
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Al Colosimo i ragazzi non vedenti imparano la solidarietà. Imparano a prendersi cura degli altri: a farsene carico. Qualche giorno fa, raccontano gli educatori, uno degli ospiti del convitto, davanti alla Galleria Principe, si è sfilato i calzini per donarli a un clochard che chiedeva l'elemosina. «Noi educatori abbiamo capito il senso e il significato della vita lavorando tutti i giorni con questi ragazzi straordinari, apprezzando la loro forza di volontà», ci dice Husam Rawashdeh, nato in Giordania, di religione musulmana, coordinatore delle attività socio-educative.

Quella dei ragazzi del Colosimo è una storia di rinascite, ma anche di muri da scavalcare. Non tutti riescono a farlo. Tra i ragazzi ve ne sono alcuni con storie di bullismo alle spalle, ed altri che pur frequentando i laboratori e svolgendo le attività ricreative, non riescono a mettere piede fuori dall'istituto. Sono assistiti, nella maggior parte dei casi, da famiglie amorevoli e straordinarie. Ma per loro il reinserimento nella società è più difficile. La vera sfida, per tutti, è quella dell'integrazione. La parola d'ordine - il mantra - è uscire, frequentare, interagire, non limitarsi a stare con altri ipovedenti. Poi c'è la sfida del lavoro, e questo è un capitolo doloroso. Spesso i non vedenti, anche se «formati», non sono inseriti in percorsi lavorativi. Il problema è trovare lavoro una volta usciti. A volte anche la malaburocrazia rema contro. Dice Antonio Cafasso, che oltre a essere animatore delle attività teatrali è anche coordinatore regionale dell'Anpvi (associazione nazionale privi della vista): «Avevo proposto di realizzare qui un b&b sociale gestito dai non vedenti. E di creare un ponte lavorativo formativo in sinergia con il museo nazionale. Il progetto si è spento sul nascere».

Oggi il convitto ospita una sessantina tra residenti e semiresidenti. L'età va dai 14 ai 60 anni; complessivamente si arriva a circa 130 ospiti considerando i non vedenti che non frequentano il convitto ma le altre attività offerte dall'istituto. L'equipe è composta da educatori, assistenti socio-sanitari, infermieri, una psicologa, un musicoterapista e un tecnico sportivo. Le attività socio-formative svolte dall'istituto spaziano dalla scrittura braille alle tecniche di orientamento, dall'informatica (con utilizzo di display braille) all'artigianato (falegnameria, tessitura), dalla cucina alla musica e musicoterapia, dalle attività sportive (Torball, Goalball, atletica, calcio a 5, fitness) al teatro, dal giardinaggio ai soggiorni estivi.
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Diceva Pablo Picasso che la pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto. O che vorrebbe vedere. Lo pensano anche gli angeli del Colosimo, che nel buio provano a dipingere ogni giorno un mondo che li accolga, che li protegga, che li faccia sentire parte del tutto. Con la forza dell'amicizia. E della loro anima, che nel buio è divina.
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