Coronavirus, la caccia all'untore dal Decamerone alla Colonna Infame

di Giuseppe Montesano
Martedì 25 Febbraio 2020, 23:56 - Ultimo agg. 26 Febbraio, 06:31
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Presidenti e sindaci della Repubblica si affannano a richiamare tutti alla ragione, ricordano che prestare ogni attenzione al coronavirus, seguire una serie di regole per combatterlo, e prestare la massima attenzione saggiamente impaurita al fenomeno, non vuol dire buttare il cervello nel tritarifiuti: ma nella civilissima Milano, l’altro giorno, c’è stata la corsa alle provviste come per una guerra in corso. Quanto è bizzarra la Storia!

Eppure proprio là, nella città europea per eccellenza di questo paese, qualcuno due secoli fa ha raccontato la storia della colonna infame e della peste, e ha propagato in Italia non la caccia all’untore, ma quel pensare che secondo Manzoni deve unire ragione e carità. È stato lui, don Alessandro, a raccontare la storia vera della popolana Caterina Rosa, che accusò e fece condannare a morte gli innocenti Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza, accusati di andare in giro a infettare case e uomini con la peste. Ma la misera Rosa fu aizzata nella sua cattiva coscienza da politici e giudici e avvocati e da intere folle di pensanti, benpensanti e non pensanti, tutti accomunati dalla paura interessata. 

Una paura che Manzoni spiegò come un contagio che si trasmette dando ascolto a quelli che oggi i commentatori chiamano “ragionamenti di pancia”, attribuendoli al “popolo” come se fosse normale scatenarli, anche se la pancia spinge poi il santificato “popolo” di turno a esaltare il politico e untore di turno: «Il sospetto e l’esasperazione, quando non siano frenate dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prendere per colpevoli gli sventurati, sui più vani indizi e le più avventate affermazioni…». 

E non dovremmo avercelo nel Dna culturale, questo Manzoni su cui si è costruita l’Italia? No, perché Milano civilissima a parte, ci si rizzano i capelli sulla testa all’idea che in altre grandi città si scateni qualcosa di simile ma moltiplicato: e in più comincino le vere e proprie follie. Non sono forse telegiornali serissimi a usare disinvolti la parola “caccia” per indicare la “ricerca” del paziente zero? Eppure nel nostro Dna culturale, insieme al giusto uso del linguaggio, dovrebbe esserci anche un altro padre della patria, quel Boccaccio che ci rappresenta fin dal Trecento nel nostro essere comici e tragici, straccioni e signori, generosi e malvagi, quel Boccaccio che fece cominciare il suo Decameron nel tempo della peste, e con parole che, secoli prima di Manzoni, superavano Manzoni nel descrivere le persone schiave dei “ragionamenti di pancia” nel medioevo: «E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano». Attenzione! Boccaccio non criticava la sana paura che ci avverte del pericolo, che ci fa prestare attenzione al coronavirus, e che dovrebbe farci prestare attenzione ai venditori sciacalli del web che hanno spacciato su internet prodotti igienici a prezzi altissimi e che l’hanno fatta franca; lui parlava dello “spavento” che è strettamente legato all’ignoranza, alla miserabilità culturale e all’egoismo privo di ragione. 

E allora, poeticamente, metteva in scena la fuga di un gruppo di alcuni giovani da un mondo in preda ai “ragionamenti di pancia”, e, quasi a dare una risposta a chi volesse criticarli, faceva dire a una di loro, che rappresentava una piccola comunità in cui il pensare dominava sui “ragionamento di pancia”, queste parole: «Voi potete, così come io, molte volte avere udito che a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la sua ragione…». Ce ne andiamo, dicevano nel Decameron, perché noi che siamo sani di mente non vogliamo stare in mezzo ai malati di mente e essere guidati da loro. E verrebbe quasi voglia di dire: beati loro che potevano! Noi invece non possiamo fuggire su nessun colle ameno, perché la giustificazione e la santificazione dei “ragionamenti di pancia” viene usata dovunque e da decenni, come una droga per il “popolo” e un bavaglio per chi vorrebbe pensare. E allora, nell’impazzare dei falsi ragionamenti, perché stupirsi se dei civilissimi cittadini svuotano i supermercati quasi la fine del mondo fosse vicina, e se l’untorello politico di turno sfrutta la paura per fare propaganda? Ma noi siamo gli eredi di Boccaccio e di Manzoni, non degli untorelli politici, e nel Dna abbiamo ragione e carità: non possiamo permetterci di dimenticarlo.
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