Coronavirus a Napoli e lavoro sommerso: il dramma di 70mila precari invisibili

Coronavirus a Napoli e lavoro sommerso: il dramma di 70mila precari invisibili
di Paolo Barbuto
Domenica 29 Marzo 2020, 00:00 - Ultimo agg. 13:35
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I numeri non hanno un’anima, sono freddi, glaciali. I numeri dicono che in Campania il lavoro nero coinvolge circa 370mila persone, settantamila delle quali solo nell’area territoriale di Napoli. 

I numeri, però, non riescono a spiegare lo sguardo disperato di Noemi che faceva la commessa al centro e adesso sta a casa senza nessuna tutela perché lei in quel negozio di maglie lavorava da quasi 15 anni ma con “un contrattino a termine” che ogni tanto scompariva e poi ricompariva, così adesso «la signora mi ha detto “ci vediamo quando possiamo riaprire”. E io che faccio mangiare a mia figlia finché il negozio non riapre?».

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Sono migliaia e sono disperati perché in tempi normali avrebbero superato ogni insidia, si sarebbero inventati qualcosa, ma senza uscire di casa è impossibile inventarsi un’attività e portare qualcosa a casa. 

Spiegano i numeri freddi che quest’esercito di lavoratori “irregolari” contribuisce all’8,8% del pil della città di Napoli. Valori importanti che, però, in cambio non portano nulla s ci li produce perché, di fronte alla crisi questa marea di persone diventa invisibile.

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Bisognerebbe aprire un capitolo per le storie di ciascun settore. Ci sono gli addetti (quasi esclusivamente donne) del manifatturiero: quelle che lavorano ore e ore alle macchine per cucire, spesso in luoghi malsani e sfornano abiti o guanti oppure scarpe. Nessuna di loro esce più di casa, nessuna di loro ha una tutela perché quel lavoro che facevano, per il mondo reale ufficialmente non esiste.

Ci sono, poi, migliaia di lavoratori dell’edilizia. Anche per loro con i cantieri fermi s’è fermato pure lo stipendio, «però la vita non si è fermata e i ragazzi hanno bisogno di mangiare e della connessione internet per seguire le lezioni», dice Bogdan che viene dall’Ucraina ma si sente napoletano di adozione. Lui e i suoi abituali compagni di cantiere aspettano che accada qualcosa, che qualcuno si accorga di loro, anche se fino ad ora non sono mai esistiti «solo quando succede un incidente e ci scappa il morto scoprono che veniamo sfruttati», spiega amaro Bogdan.

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«La signora mi ha detto che se voglio posso continuare ad andare da lei - Anna scrive un agguerritissimo post su Facebook - ma se mi fermano non posso dire che lavoro a casa sua perché altrimenti lei passa un guaio. Io glielo farei passare davvero un guaio...», commenti ironici e applausi virtuali sul web. Ma la realtà non si ferma al mondo digitale e la realtà spiega esattamente quel che dice Anna: per dimostrare di avere impegni di lavoro bisogna avere un contratto di lavoro. Quasi nessuna colf ce l’ha, sicché sono quasi tutte ferme, senza guadagnare.

Discorso differente per il mondo dei badanti. Quelli che vivono in casa delle persone che accudiscono, proseguono senza sussulti le loro attività; quelli che lavoravano solo di giorno invece hanno le stesse difficoltà delle colf: niente contratto, quindi nessuna possibilità di spostamento.
 

Nel gruppo dei 70mila disperati, poi, vanno inseriti i “collaboratori” di meccanici e riparatori: nessuno di loro ha mai avuto un contratto, erano “giovani di fatica”, ora quasi tutti diventati adulti nelle officine o in giro per le case ad aggiustare lavatrici o a montare condizionatori, eppure sono rimasti invisibili apprendisti.

C’è, infine, il vasto mondo dei “ragazzi di bar”, delle addette ai negozi di estetica, delle ragazze spedite nelle case dai negozi di acconciatori per “fare i capelli” a domicilio: un mare di persone che non ha mai avuto un contratto e dunque adesso non merita tutela.

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Nel gorgo delle persone che non riescono più a guadagnare, purtroppo, c’è anche il vastissimo mondo degli affari loschi, della malavita, della prostituzione. Secondo l’ultimo rapporto Istat sull’argomento (che però è datato 2016) ciascuna di queste attività ha un peso importante sull’economia. Il “valore aggiunto” del mercato della droga che adesso è in grave crisi, è pari al 12,6%; quello del contrabbando di sigarette mai completamente cancellato è dello 0,4%. Il valore aggiunto del mercato della prostituzione, invece, è pari al 3,7%. Si tratta di un totale di valore aggiunto generato dall’illegalità che sfiora il 17%.

Anche questa parte oscura del mondo che ci circonda è in crisi ma, in questo caso, nessuno s’aspetta aiuti. 
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