Coronavirus, il contagio dagli animali agli uomini: i felini sono i più a rischio

di Giovanni Di Guardo*
Martedì 7 Aprile 2020, 23:00
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L’“Universal Medicina”, tanto cara ai nostri “Antichi padri” e oggi denominata “One Health”, costituisce l’ennesimo esempio della straripante “anglofonizzazione” della nostra lingua e si traduce letteralmente in “Una Sola Salute”. Mediante tale concetto, che e’ al tempo stesso un fondamentale principio, si sottolinea l’indissolubile legame fra salute umana, salute animale e salute dell’ambiente, che sono reciprocamente interconnesse in quella che viene altresì definita la “triangolazione uomo-animali-ambiente”. Ed è appunto in questo triangolo che andrebbero correttamente inquadrate le relazioni fra qualsivoglia agente patogeno, virale o di altra natura, ed il suo ospite, tanto più alla luce dell’inoppugnabile dato secondo cui oltre il 70% delle malattie infettive emergenti sarebbero causate da agenti a comprovato o sospetto potenziale zoonosico, vale a dire capaci di trasferirsi dagli animali all’uomo, attuando il cosiddetto “salto di specie”. 

Anche SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile della CoViD-19, non costituirebbe un’eccezione alla sopra citata “regola”, avendo trovato per l’appunto la propria culla d’origine nei pipistrelli per passare successivamente ad una specie “intermedia” e di lì all’uomo, avviando quella drammatica catena di contagi interumani che ha oramai causato un milione di casi d’infezione e oltre 50.000 decessi su scala globale, 14.000 dei quali nel nostro Paese! 

Un recentissimo lavoro sperimentale riporta che i gatti sarebbero suscettibili nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, che dagli stessi potrebbe trasmettersi con una certa facilità ad altri felini, dal che si desume che il gatto potrebbe aver svolto il ruolo di “ospite intermedio”, acquisendo il virus dai pipistrelli per poi trasmetterlo all’uomo. Al momento attuale, è bene sottolinearlo, questa è soltanto un’ipotesi, per confermare o confutare la quale servono ulteriori studi.

Porre la giusta enfasi sul concetto di “una sola salute” si traduce in una parallela enfasi sull’altrettanto fondamentale concetto della collaborazione intersettoriale o, per meglio dire, della collaborazione multidisciplinare. Mai come in questi tempi di CoViD-19, infatti, Medici e Veterinari (come il sottoscritto) sono chiamati a operare “in simbiosi” al fine di poter fornire risposte “evidence-based” (anche e non solo) ai cruciali interrogativi sull’origine del virus SARS-CoV-2.

Historia Magistra Vitae e, sulla scorta di questo imperituro viatico, andrebbe debitamente narrata al grande pubblico - come sono peraltro solito fare anche nei confronti dei miei studenti nella lezione introduttiva al mio Corso di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria - la lunga quanto affascinante Storia della Medicina veterinaria. Le radici di noi medici veterinari sono fortemente compenetrate, infatti, con la storia delle malattie infettive, prima fra tutte la peste bovina, una grave ed altamente contagiosa e diffusiva malattia che nel diciottesimo secolo falcidiava le mandrie del Vecchio Continente. La peste bovina, dichiarata ufficialmente eradica dal Pianeta nel 2011 a seguito dei grandi successi conseguiti attraverso le vaccinazioni di massa della popolazione bovina afro-asiatica, costituisce infatti la “ragion storica” alla base della nascita delle Facoltà di Medicina veterinaria, prima fra tutte quella di Lione, in Francia, seguita a ruota da quelle di Torino e Bologna.

Quanto sopra - a fronte degli ulteriori, illuminanti esempi che si potrebbero fare - per sottolineare e ribadire il cruciale ed imprescindibile ruolo nonché la grande tradizione culturale che accreditano la Medicina veterinaria pubblica e, con essa, la ricerca scientifica in ambito di Sanità pubblica veterinaria quali primi attori, insieme ai medici ed ai ricercatori in campo biomedico (e non solo) nella complessa ed articolata gestione della pandemia da SARS-CoV-2. Questa rappresenta, in ultima analisi, l’ennesimo e quantomai drammatico esempio di un’emergenza sanitaria che trova origine nelle cosiddette “interfacce ecologiche” che mettono in reciproca connessione gli animali selvatici con quelli domestici e con l’uomo nel nostro “villaggio globale”.

* Scientific Editor<QA0>
Research in Veterinary Science
Professor of General Pathology and Veterinary Pathophysiology <QA0>
University of Teramo<QA0>
Faculty of Veterinary Medicine
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