Coronavirus: Simone Cristicchi, «in isolamento sono tornato a scrivere canzoni dopo 7 anni»

Simone Cristicchi (Foto di Ambra Vernuccio)
Simone Cristicchi (Foto di Ambra Vernuccio)
di Paolo Travisi
Venerdì 17 Aprile 2020, 18:40 - Ultimo agg. 18:45
4 Minuti di Lettura

Tra letture di poesie, favole e dirette social, Simone Cristicchi, cerca una normalità inedita, parlando con i suoi fans, raccontando la speranza in un domani che sia nuovo per tutti. Il cantautore romano, che nel 2007 vinse Sanremo con Ti regalerò una rosa, prima dell'emergenza Coronavirus stava portando nei teatri italiani, il suo ultimo spettacolo Esodo. «Sono saltate una trentina di date (7 solo a Roma), da girovago vagabondo mi sono ritrovato a fare l'eremita metropolitano, anche se vivo in campagna e la natura rende più agevole questo tempo».

Coronavirus, Edoardo e Eugenio Bennato firmano nuova canzone: proventi per gli ospedali

Questo periodo che stiamo vivendo, le suggerisce una storia da raccontare in futuro?
Si, è un tempo di grande creatività per me. Ho l'opportunità di scrivere e lavorare a nuovi progetti, mi sento molto proficuo. Sui social ho pubblicato del materiale nuovo tra cui una poesia “Il primo giorno del nuovo mondo”, che ha avuto un grande successo, perché parla di speranza e racconta il futuro.
 

 


C'è un passaggio in cui scrive “abbracci, rivedere il mare, mangiare un gelato”. Gesti e possibilità che avranno un nuovo valore?
Questa è la speranza. Spero che sia un momento di riflessione collettiva, non solo per i cittadini, ma anche per chi tiene le redini del nostro mondo. Sarebbe bello se alla fine di questo momento ognuno di noi avesse chiare le priorità della propria vita. Il vero viaggio non è quello che si fa sull'asfalto, su treni ed aerei, ma interiore, nelle nostre incertezze e grandezza.

Gli italiani che cantano l'inno, gesti straordinari di medici ed infermieri applauditi dai balconi. Siamo tornati ad essere una comunità?
Nelle grandi tragedie, come il terremoto in Abruzzo, esce fuori una solidarietà sepolta, c'è un senso di umanità che fa passare dall'io al noi. Questo accade raramente. E' servito un virus per farci sentire una grande famiglia.

In questi giorni è molto attivo sui social. E' cambiato il suo utilizzo rispetto a prima?
Ho sempre creduto che l'artista avesse un ruolo importante nella società, che non fosse un mero intrattenitore, ma un'antenna, quasi un profeta, perché deve riuscire a immaginare, a dare delle piccole illuminazioni agli altri. Guardo dentro le mie fragilità e cerco di restituire agli altri le mie intuizioni. Sui social sta funzionando tantissimo.

C'è stata una sua prima volta in questo momento?
Erano sette anni che non scrivevo nuove canzoni, sto riprendendo in mano i miei strumenti e sto scrivendo un nuovo disco alla velocità della luce. Questa per me è una prima volta, perché di solito impiego molto tempo.

Quindi un nuovo disco nel 2020?
Lo spero, perché tante persone lo aspettano da tempo. Sto dedicando anima e corpo a scriverlo, poi penseremo agli aggiornamenti. Sono un artista molto libero dal calendario e la mia casa discografica è sempre stata gentile nei miei confronti. Vedremo...

Invece ha riscoperto qualcosa, magari una passione accantonata?
Sto mettendo nero su bianco un diario, dove segno le mie sensazioni, le mie emozioni.

In una fiaba letta sui social, dice “spegnere un incendio con quattro gocce di acqua di un colibrì”, che significato ha oggi?
Che ognuno deve fare il proprio dovere. Non siamo rinchiusi, ma stiamo partecipando ad una battaglia, c'è chi lo fa mettendo a rischio la propria vita e chi lo fa stando in casa. Quando ho registrato la Fiaba del colibrì, volevo che arrivasse un messaggio preciso: ogni nostra azione contribuisce a creare il mondo e dobbiamo esserne sempre consapevoli, perché le nostre energie s'interfacciano col mondo esterno.

Come sarà il suo primo giorno di ritorno alla normalità?
Mi piacerebbe che fosse una grande festa collettiva, dove si torna in strada, senza le macchine, in piazza. Una festa popolare dove c'è la musica, e la riscoperta di essere legati tutti. Lo immagino a teatro o in un concerto, dove le persone potranno riunirsi in modo anche fisico uno accanto all'altro.


 

© RIPRODUZIONE RISERVATA